Le origini del termine “redskin”
Le reazioni all’espansione dei bonehead white power: dalla skinzine Hard As Nails ai redskin (“red skinhead”), passando per il gruppo soul Redskins
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Skinhead e politicizzazione
La prima ondata della sottocultura skinhead – compresa grossomodo tra il 1968 e il 1970 – non era politicizzata. Questo non significa che gli skin original non avevano idee politiche, ma soltanto che – come confermano le testimonianze – l’eventuale politicizzazione era un fatto individuale, non connesso all’appartenenza al culto.
Quando, nella seconda metà degli anni ’70, le organizzazioni britanniche di estrema destra riuscirono a strumentalizzare una parte consistente della scena, si determinò una situazione che spinse un certo numero di skinhead antirazzisti, o apertamente di sinistra, a venire allo scoperto per opporsi alla fascistizzazione della sottocultura.
A Londra, verso la fine del decennio, nacquero raggruppamenti come gli Skins Against the Nazis, che però furono poco duraturi. Si ha notizia, poi, di diversi concerti – sia punk rock che del revival ska – in cui degli skin non di destra si opposero fisicamente a quelli del British Movement e del National Front.
In seguito, alcuni gruppi Oi! – ad esempio i Criminal Class di Coventry, il cui cantate Craig St. Leon proveniva dall’era original – parteciparono ai concerti RAR (acronimo di “Rock Against Racism”) o ad altri eventi simili.
Nel suo libro del 1991, Spirit of ’69, George Marshall parla degli atteggiamenti sarcastici di altre formazioni Oi! nei confronti di quelle parti del pubblico che esibivano atteggiamenti fascisti.
Le reazioni degli skinhead antirazzisti
Fatti come quelli sin qui descritti costituirebbero, secondo alcuni, le risposte isolate e scarsamente organizzate del basso numero di teste rasate che intendevano ostacolare i bonehead white power. In altri termini, gli skin nazisti avrebbero potuto agire perlopiù incontrastati all’interno di una scena non troppo preoccupata dalla loro espansione.
Noi, invece, crediamo che la reazione degli skinhead antirazzisti – ancorché insufficiente – sia stata più ampia di quanto la scarsa documentazione storica della sottocultura lasci intendere.
Oggi, in effetti, si ha accesso a informazioni finora poco note o del tutto inedite, che paiono confermare la nostra ipotesi. Si pensi, ad esempio, alla partecipazione di un numero consistente di skinhead a una manifestazione contro il National Front, che ebbe luogo nel 1979 a West Bromwich, una città di poco più di 130.000 abitanti, situata nelle Midlands Occidentali.
La presenza di uno spezzone skinhead al corteo è documentata da una rara fotografia di Virginia Turbett, resa recentemente disponibile da Getty Images, e quindi riproposta dalla nostra pagina Facebook.
L’influenza del gruppo soul Redskins
A questo punto occorre spendere qualche parola sulla band che contribuì maggiormente a diffondere – anche e soprattutto fuori del Regno Unito – il termine “redskin”.
Chris Dean – che scriveva sotto il nome di “X Moore” per la rivista musicale NME – nel 1980 formò a York la prima incarnazione della band, chiamata “No Swastikas”.
Il suo amico Martin Hewes, anche lui skinhead e militante dell’organizzazione trotskista Partito Socialista dei Lavoratori (in inglese: Socialist Workers Party), si unì ai No Swastikas l’anno successivo, quando il gruppo suonava ancora punk rock.
In seguito, Dean, Hewes e il batterista Nick King adottarono il nome “Redskins” e si trasferirono a Londra. Vi furono dei cambiamenti anche sotto il profilo musicale, visto che lasciarono alle spalle il punk rock degli esordi e si dedicarono a un soul molto energico, aperto ad influenze punk e rockabilly.
Il loro singolo di debutto, Lev Bronstein (nome anagrafico di Trotsky), fu pubblicato nel luglio del 1982 dalla CNT Productions, avviando così una discografia forse non troppo estesa ma d’indiscutibile qualità.
In un periodo in cui il termine “skinhead” era ormai per molti sinonimo di “nazista dalla testa rasata”, l’attività dei Redskins destò un certo clamore, sia per il loro aspetto che per la potenza della musica e dei testi, che si accompagnavano a un effettivo impegno politico.
Questo, naturalmente, causò alla formazione numerosi problemi con i bonehead nazisti, che tentarono in vari modi di fermarli, soprattutto minacciando di attaccare i loro concerti – anche se questo avvenne in realtà solo in due o tre occasioni – in modo di far nascere tra gli organizzatori l’idea che far suonare i Redskins significasse necessariamente mettersi nei guai.
I redskin in Italia
Vista la notorietà del gruppo soul di York la denominazione “redskin” non tardò a diffondersi in Europa, anche grazie ai loro tour (nel 1986, i Redskins suonarono più volte in Italia).
I primi a definirsi “redskin”, nel nostro paese, furono forse alcuni skinhead comunisti romani, intorno alla metà degli anni ’80, quando era già avvenuta la frattura della scena in una parte razzista e una non razzista. Da quel gruppo di persone, emerse poi la formazione combat rock Banda Bassotti.
Tuttavia, bisognerà aspettare fino agli anni ’90 perché un numero considerevole di skinhead italiani iniziassero a definirsi in quella maniera, anche in reazione alla nuova espansione dei bonehead in Europa, avvenuta in seguito alla caduta del Muro di Berlino, a cui veniva dato ampio spazio dai mass media.
Nella prima metà dello stesso decennio, nacque inoltre la SHARP Italia, un’organizzazione di skinhead antirazzisti, a cui – soprattutto nella fase iniziale – aderirono sia skinhead che si dichiaravano apolitici, sia skin di sinistra che non necessariamente si consideravano redskin.
L’approccio tradizionalista di “Hard As Nails”
Ma torniamo in Gran Bretagna. Nella prima metà degli anni ’80, anche realtà più tradizionaliste come la skinzine Hard As Nails si sforzarono di contrastare i nazi, da un lato tentando un recupero della cultura original, e dall’altro sostenendo un gruppo come i Redskins.
I principali redattori di Hard As Nails erano Paul Barrett e Ian Hayes-Fry, due skin dell’Essex che si erano avvicinati alla scena alla fine del decennio precedente.
Paul e Ian, nel 1984, rilasciarono un’intervista alla rivista Sounds. Il primo dichiarò che le sue speranze per il futuro erano costituite dai Burial, dai Redskins e dagli Oppressed, anche se trovava i testi di questi ultimi «un po’ caricaturali».
Ian, invece, spiegò in maniera più articolata la simpatia che i sussed skins – ossia gli skinhead che tenevano al proprio stile – provavano per i Redskins:
Le loro idee politiche possono piacere come non piacere, tuttavia i Redskins sono l’unica band che, al momento, ha la possibilità di finire in classifica. Sono gli unici in grado di rivolgersi a un pubblico più vasto, come facevano gli Specials.
Ai sussed skins i Redskins piacciono più per la loro musica che per la loro politica.
A queste osservazioni, si sommi il fatto che, in un’intervista dell’85 per NME, uno dei redattori ammise apertamente la sua antipatia per le idee della band.
Tuttavia, i redattori di Hard As Nails, pur non condividendo necessariamente le opinioni dei Redskins, sembravano comunque trovarsi dalla stessa parte dello spettro politico, sia pure su posizioni meno radicali: Paul, nel corso di un’intervista del 2010, dichiarò che la politica della fanzine era «orgogliosa, patriottica e socialista», il che la poneva automaticamente in contrasto con «i bonehead di White Noise», che era una filiazione musicale del National Front.
Nel numero 3 dell’84, apparve la recensione di un concerto che si tenne a Londra il 10 giugno dello stesso anno, il Jobs for a Change. La manifestazione – spesso citata come “GLC Jobs” – s’inseriva nel contesto più ampio del Greater London Council Festival. Tra i gruppi in scaletta c’erano i Redskins.
La serata subì un’interruzione proprio nel corso dell’esibizione dei tre trotskisti: alcune decine di nazi del National Front – circa cinquanta secondo alcuni, almeno ottanta secondo altri – assalirono il pubblico e irruppero sul palco durante l’esecuzione di Lean On Me, con conseguenti scontri tra le due parti politiche.
All’inizio dell’articolo, l’autore – siglato “S.M.” – parla del suo interesse musicale per i tre skin di York: «È bello sapere che esiste una band skinhead che non suona punk rock», e poi li definisce «un gruppo veramente radicale – senza pose alla Clash né slogan alla Crass – che suona per centinaia di ragazzi normali».
Il report continua con la descrizione della prima parte della serata, fino all’attacco dei bonehead del National Front:
A quel punto la rabbia esplose e si sentì urlare: «Prendete gli skin»!
Era il caso che me ne andassi, e a un certo punto fui inseguito sia da quelli di destra che da quelli di sinistra, il che riassume veramente bene la situazione: sia il British Movement che il Partito Rivoluzionario dei Lavoratori [Workers Revolutionary Party] vorrebbero che ci unissimo a loro… Col cazzo!!!
L’articolista sottolinea, poi, di essere andato al concerto soltanto per la musica, e perché sapeva che non era stato organizzato da partiti politici.
Occorre aggiungere che l’attacco dei nazi ebbe una grossa risonanza. In occasione dei concerti e dei festival che si tennero a Londra nel periodo successivo, alcuni skinhead distribuirono dei volantini – sui quali campeggiava la scritta Skins Hate Nazis – in cui veniva condannata l’azione degli estremisti di destra.
Nella già citata intervista per NME, i ragazzi di Hard As Nails tornarono a parlare del GLC Jobs, dichiarando:
Noi ci occupiamo innanzitutto di stile.
Oggi come oggi, alla maggior parte degli skin non frega niente dei partiti politici. Purtroppo, però, è impossibile parlare di certe band senza menzionare le loro idee politiche.
In tutta onestà, crediamo che qualsiasi tipo di politica abbia fottuto la faccenda skinhead e ci abbia divisi. Tanto per dirne una, quanti mod si combattono a vicenda per le stesse ragioni?
Tuttavia, anche Hard As Nails, in qualche misura, è stata tirata in mezzo all’arena politica. Non evitiamo di parlare di ciò che succede: ad esempio, la scorsa estate, abbiamo parlato di quegli stronzi che hanno rovinato il GLC Jobs.
Il punto è che questi sono una minoranza, persino a Londra. La maggior parte degli skin è contraria al National Front: all’ultimo concerto dei Redskins in cui siamo andati, abbiamo contato ben oltre un centinaio di skin, e non si trovavano lì per creare disordini.
Parliamo di politica, se inevitabile, tuttavia Hard As Nails si occupa di stile.
Cos’è un redskin?
Il termine “redskin”, a nostro avviso, non è un sinonimo di “skinhead di sinistra”, ma designa piuttosto uno skin che esplicita la propria ideologia politica, secondo un approccio più controculturale che sottoculturale.
D’altro canto, alcuni utilizzano questa denominazione per indicare tutti gli skin di sinistra, a prescindere dal modo in cui questi mettono in rapporto politica e sottocultura.
In ogni caso, qualunque sia il significato che si preferisce attribuire al termine, questo esisteva già prima che i No Swastikas diventassero i Redskins, come ammette lo stesso Chris Dean in un’intervista del 1986:
C’è questa idea sbagliata secondo cui tutti gli skinhead erano di destra, il che non è vero. Se ad esempio prendi il pubblico dei gruppi 2 Tone, dei Madness, c’erano molti skinhead, molti skinhead antirazzisti, molti skinhead di sinistra e molti skinhead socialisti.
Il nome “Redskins” è stato ripreso da un gruppo di skinhead di Sheffield che facevano parte del Partito Comunista di Gran Bretagna [Communist Party of Great Britain].
I giovani di sinistra, in genere, fanno capo a organizzazioni trotskiste oppure al Partito Laburista, perché quelli delle organizzazioni staliniste sono piuttosto anziani. Eppure, a Sheffield c’era questa situazione particolare, molto strana, per cui molti skinhead facevano parte del Partito Comunista.
Naturalmente, non è facile stabilire chi effettivamente usò per primo il termine “redskin”, visto che gli skinhead di Sheffield potrebbero averlo a loro volta ripreso da altri.
Tuttavia, la testimonianza di Chris Dean non solo ci dà conferma del fatto che non fu la sua band a coniarlo, ma contribuisce a raffigurare una composizione politica della scena skin piuttosto variegata, almeno per quanto riguarda il periodo a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, a dispetto dei tentativi di egemonizzazione da parte dei bonehead white power.
I redskin: conclusioni
L’interesse di Crombie Media per gli stili giovanili è soprattutto di tipo storico: ci interessa, quindi, comprendere e spiegare gli sviluppi che le sottoculture hanno avuto nel tempo.
Non siamo interessati, invece, ad approvare o disapprovare i metodi con cui altre persone – in tempi e luoghi diversi dal nostro – hanno tentato di opporsi alla barbarizzazione del culto skinhead.
Ci riferiamo, in questo caso, alla contrapposizione tra l’approccio tradizionalista e quello dei redskin, più militante, fermo restando che queste non sono le uniche posizioni possibili, e che esistono numerose sfumature nel mezzo.
Nel corso della nostra intervista con l’artista e scrittore Stewart Home – skinhead a partire dalla seconda metà degli anni ’70 – abbiamo voluto conoscere la sua opinione sulla questione. Riportiamo la risposta per intero:
Sosterrei entrambi gli approcci. In questo modo siamo più forti.
Ho idee politiche ben definite, ma posso andare d’accordo con chi ha posizioni differenti dalle mie, a meno che non si parli di razzisti e fascisti.
Quelli di destra spesso si dichiarano apolitici per coprirsi con una foglia di fico e avere maggiore rispettabilità, ma – fintantoché non si tratta di razzisti o fascisti – credo che si tratti di una loro scelta, a dispetto del fatto che li preferirei più motivati dal punto di vista politico.
Detto ciò, la classe operaia porta avanti delle battaglie politiche per difendere ciò che possiede e, in prospettiva, per fare un mondo migliore. Ma pensare che si possa accelerare questo processo per tutti, significa cadere nel vecchio errore idealista e avanguardista di portare la coscienza dall’esterno, e questa è una delle tante cose sbagliate che si ritrovano in qualsiasi forma di bolscevismo.
Pertanto, non credo di dover avvicinare le persone alla politica: saranno le forze sociali a metterle di fronte ai problemi politici e alle contraddizioni del capitalismo, indipendentemente da quanto queste cerchino di evitarlo.
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Questo articolo è stato pubblicato il 18 marzo 2018 e aggiornato il 7 dicembre del 2020.
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