Chelsea Bridge Boys: rocker e classe operaia in un documentario del 1965
Un rocker esprime il suo punto di vista sulla propria classe sociale nel film documentario Chelsea Bridge Boys di Peter Davis e Staffan Lamm.
🇬🇧 Non-Italian speakers take note! This article on rockers - inspired by the documentary Chelsea Bridge Boys (1965) - is only available in Italian, anyway you can rely on Google Translate for a rough translation.
Rocker e greaser
La sottocultura rocker – incentrata sull’amore per il rock’n’roll e, ovviamente, per il motociclismo – si sviluppò in seguito alla maggiore disponibilità economica per la classe operaia britannica, dovuta alla fine delle restrizioni degli anni della ricostruzione, nonché a un’occupazione quasi piena.
Come è noto, lo stesso contesto socioeconomico favorì la nascita di altri stili giovanili, come quello dei mod, acerrimi rivali dei rocker e predecessori degli skinhead.
Crombie Media non si occupa, in genere, di sottoculture biker, preferendo dedicare le proprie attenzioni ad altri stili – skinhead, mod, punk – e ai loro derivati. Tuttavia, abbiamo pensato di toccare l’argomento per offrire un contesto più esauriente del mondo dei culti giovanili inglesi.
D’altro canto, si fa cenno ai rocker in diversi articoli di questo blog, come nelle interviste con lo skinhead original Paul Thompson e con lo scrittore Stewart Home, che però preferiscono chiamarli greaser o grease.
Si nota, comunque, che mentre Thompson usa il termine greaser come sinonimo perfetto di rocker, Home lo utilizza per designare quegli adolescenti che, negli anni ’70, «aspiravano a comprarsi una moto, quando sarebbero diventati più grandi, e si comportavano come gli hells angel».
Anche George Marshall – autore di Spirit of ’69: A Skinhead Bible – vede nei due culti qualcosa di simile ma distinto. Lo scrittore skinhead, pur dimostrando un maggiore rispetto per i rocker, non è tenero con nessuna delle due categorie:
Così come i mod si battevano con i rocker, ora gli skinhead si scontravano con i greaser.
Questi ultimi discendevano chiaramente dai primi, ed entrambi costituivano, probabilmente, l’anello mancante dell’evoluzione umana di cui erano in cerca gli antropologi.
Per evitare equivoci, aggiungiamo che il termine greaser indica pure una sottocultura statunitense, affine ma differente da quelle di cui stiamo parlando.
Il documentario Chelsea Bridge Boys
Lo spunto per questo articolo nasce dalla visione del documentario Chelsea Bridge Boys (1965) di Peter Davis e Staffan Lamm, incentrato sull’omonima gang, che aveva come punto di ritrovo il ponte che collega i quartieri londinesi Pimlico e Westminster – che si trovano ad Est del Tamigi – a Chelsea – che si trova ad Ovest.
Il film – che dura 30 minuti, e dal quale sono tratte le immagini presenti in questo articolo – è incentrato sulle interviste con alcuni componenti della gang, prevalentemente ma non esclusivamente di sesso maschile.
Il documentario è disponibile su YouTube, tuttavia – se siete in cerca di una migliore qualità visiva, e soprattutto di sottotitoli più affidabili rispetto a quelli generati automaticamente dal portale video – vi consigliamo di procurarvi la dual format edition (Blu-ray + DVD) dello shockumentary London in the Raw (1964), curata dal British Film Institute.
Gli extra comprendono una versione restaurata di Chelsea Bridge Boys, e inoltre alla confezione è allegato un bel libretto che include, tra l’altro, un breve contributo del regista Staffan Lamm, nonché un saggio di Stewart Home.
Le testimonianze
I rocker rilasciano dichiarazioni interessanti che riguardano, innanzitutto, il loro stile di vita – facendo cenno pure alla rivalità con i mod – ma anche altre tematiche, come il rapporto tra uomo e donna.
La provenienza sociale dei Chelsea Bridge Boys emerge in diverse parti del documentario, ma è solo nel corso dell’intervista con un giovane aiuto elettricista – nato nel 1942 nel quartiere di Balham, nel Sud Ovest di Londra – che l’argomento viene affrontato in maniera esplicita.
La conversazione fa riferimento alle elezioni generali che si tennero il 15 ottobre del 1964.
In seguito alle votazioni, il Partito Laburista tornò al governo per la prima volta dopo il 1951, sia pure con una maggioranza risicata.
Riportiamo di seguito la parte dell’intervista che ci è parsa più interessante.
Hai votato alle ultime elezioni?
Sì. Sì, ho votato.
Ti va di dirci cosa ne pensi del governo?
Beh, ecco, in un certo senso non ne so molto di governi, politica e religione.
Non parlo molto di questi argomenti perché non ne so abbastanza. Non saprei proprio cosa dire.
Però hai votato.
Sì, ho votato.
Quindi ci deve essere qualche motivo se hai votato.
Beh, ho votato per chi ho pensato sarebbe stato meglio per noi. Per la gente della classe operaia, perché non sono un multimilionario.
Quindi ho votato per la classe operaia, sì, assolutamente.
Cos’è la classe operaia? Da quale tipo di persone è composta?
Beh, dalle persone comuni che vanno a lavorare. Decisamente. Con un salario normale.
Non da quella gente pretenziosa… Quelli che vivono… Quelli che se ne vanno in giro in Rolls Royce con l’autista.
Loro sono quelli altolocati, ma la classe operaia, beh, è quella che manda avanti il paese, secondo me.
Osservazioni
Sebbene le dichiarazioni del rocker siano piuttosto scarne, ci paiono sufficienti per fare alcune considerazioni.
Si nota, prima di tutto, che il Partito Laburista non viene mai nominato: questo potrebbe essere dovuto a una scelta cosciente del ragazzo, che preferisce non esplicitare il proprio voto.
Tuttavia, siamo più inclini a pensare che, per il rocker, votare per la classe operaia significasse necessariamente votare per il Partito Laburista, che era tradizionalmente considerato il partito della working class.
Se qualcuno ha dubbi sulla nostra interpretazione, gli basti pensare che, alle elezioni del ’64, il Partito Comunista di Gran Bretagna prese appena lo 0,2% dei voti, ed altre formazioni socialiste e comuniste ottennero un consenso addirittura inferiore.
Comunque sia, l’intervista ci è parsa particolarmente interessante soprattutto perché il rocker – pur argomentando con convinzione la propria decisione – esprime apertamente uno scarso interesse per la politica.
Si tratta, a nostro avviso, di una posizione analoga a quella di molti skin original: il fatto che tante teste rasate avessero simpatie laburiste è confermato sia da skinhead non politicizzati – come George Marshall – che da testimoni diretti come Paul Thompson, che era, a quanto pare, uno dei pochi skinhead original londinesi che facevano riferimento alla sinistra radicale.
Un numero maggiore di skin apertamente di sinistra apparve soltanto alcuni anni più tardi, in risposta alla nascita e all’espansione dei bonehead white power.
Conclusioni
Come abbiamo avuto modo di constatare, avere simpatie laburiste – almeno negli anni ’60 – non significava necessariamente essere politicizzati, perlomeno non in maniera aperta e consapevole.
Si trattava, piuttosto, della diretta conseguenza di una coscienza di classe ben radicata nella società britannica.
Questo fattore, in effetti, non è di per sé sufficiente ad attribuire una vera e propria politicizzazione a dei singoli individui – figuriamoci a una sottocultura intera! – con buona pace di chi, oggi, tende a rileggere la storia degli stili giovanili con intenti revisionistici.
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