La serie “Stili ribelli”: un’intervista con Lara Rongoni
“Stili ribelli” è una serie documentario tutta italiana, in onda su Sky Arte a partire dal 6 maggio 2020
🇬🇧 Non-Italian speakers take note! This article about the TV series Stili ribelli by Lara Rongoni is only available in Italian. However, you can rely on Google Translate for a rough translation.
Cos’è “Stili ribelli”?
Lo scorso 15 giugno, presso il Biografilm Festival di Bologna è stata presentata la nuova serie documentario Stili ribelli, diretta da Lara Rongoni per la casa di produzione Kiné.
La serie TV – ideata dalla regista e da Eleonora Fatigati – è incentrata sull’incontro tra stile, moda, musica e cinema, ed è composta da sei episodi di 26 minuti ciascuno, che saranno trasmessi da Sky Arte nel febbraio dell’anno prossimo.
Abbiamo visto in anteprima alcuni estratti di Stili ribelli, ben realizzati e di sicuro interesse, visto che toccano argomenti come il modernismo, il punk, il glam rock e il rock and roll.
Materiali d’archivio, animazioni e nuove interviste realizzate ad hoc si mescolano per dar vita a un format che potrebbe interessare tanto gli appassionati di sottoculture e di determinati generi musicali, quanto un pubblico più vasto.
Tra gli intervistati, citiamo Suzi Quatro, Glen Matlock (Sex Pistols), Jesse Hector (The Hammersmith Gorillas) e Pauline Black (The Selecter), ma l’elenco completo è ben più lungo.
Anche l’Italia è ben rappresentata, visto che sono stati interpellati personaggi come Antonio Bacciocchi, Carlo Bordone, Igort e altri ancora.
Intervista con Lara Rongoni
Per sapere qualcosa di più su Stili ribelli, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con l’autrice e regista Lara Rongoni. Buona lettura!
Ciao, Lara! Innanzitutto raccontaci chi sei, e quali sono i tuoi legami con il mondo delle sottoculture e della musica cosiddetta “alternativa”.
Il mio approccio alla musica è un po’ sui generis, visto che vengo da un paese piccolo della bassa bresciana dove la musica ed un certo tipo di cultura erano di difficile reperibilità. La passione per la musica, così come per il cinema, è quindi venuta grazie a mio padre, che collezionava dischi e film.
Già da piccolissima, infatti, ascoltavo i suoi dischi, tanta roba anni ’60 da Tommy James agli Small Faces, dai Beatles agli Who, e roba anni ’70 come David Bowie, gli Slade, gli AC/DC e Suzi Quatro.
Anche il punk l’ho conosciuto grazie a mio padre, che si divertiva a farmi compilation contenenti pezzi dei Sex Pistols, dei Boys, degli Stooges e dei Blondie… Mi ha dato persino un’infarinatura di metal facendomi conoscere gruppi come Motörhead e Iron Maiden!
Durante il liceo, soprattutto dopo il ’95, con l’arrivo di Internet, la passione è esplosa e ho iniziato a fare ricerca per conto mio, “commissionando” a mio padre alcuni album, che scaricava per me dal lavoro.
All’Università, a Bologna, ci sono stati due posti per me fondamentali: la Phonoteca – un posto bellissimo dove si potevano ascoltare dischi, e pure noleggiarli – e Nannucci – un negozio di dischi al centro, fornitissimo.
Per quanto riguarda le sottoculture, il sentirsi parte di qualcosa… Beh, se ascolti un certo tipo di musica, vai ai concerti, frequenti certi posti e leggi molti libri al riguardo, tutto diviene connesso e ti aiuta a sviluppare un certo tipo di “attitudine”, che poi farà sempre parte di te.
Parlaci di come è nato e si è sviluppato il progetto.
L’idea nasce da una trasmissione radio che conducevo con un’amica a Radio Città del Capo, Gli scheletri nell’armadio, dove creavamo delle playlist musicali a tema, ispirate a qualche capo d’abbigliamento.
La radio era una passione, ma la televisione era il mio lavoro, quindi ho adattato il format radiofonico al linguaggio televisivo.
All’epoca avevo appena finito una serie sulla musica indipendente italiana per Sky Arte, Rotte indipendenti, così ne ho approfittato per presentargli anche questa idea, che a loro è piaciuta molto.
Da qui ho iniziato a svilupparla con la casa di produzione Kiné, con cui mi sono trovata molto bene.
Come hai scelto gli argomenti trattati, e le persone di cui parlare o da intervistare? Insomma, qual è il filo conduttore di Stili ribelli?
In ogni puntata si parla un accessorio che siamo abituati ad indossare ogni giorno, oppure a vedere sulle riviste, senza tuttavia conoscerne la storia.
Nella serie si parla di certi capi d’abbigliamento, non dal punto di vista della moda, ma tenendo conto del ruolo che questi hanno avuto nella società passando attraverso le controculture giovanili, e inoltre si cerca di raccontare cosa hanno significato questi capi.
Per esempio, molti non sanno realmente cosa sia stato il punk, che tipo di cambiamento abbia portato nella società e di come, in maniera inconsapevole, noi oggi approfittiamo della sua lezione.
Dice bene Jordan [si riferisce all’icona punk Jordan Mooney, al secolo Pamela Rooke – NdR], nell’intervista che le ho fatto, di come il punk abbia aperto le menti e abbia spinto i ragazzi a sentirsi a proprio agio nelle proprie diversità in una società che tendeva ad omologarti… Questa è l’eredità che ci ha lasciato.
Guardando gli estratti delle puntate, abbiamo notato numerosi riferimenti alla cultura di massa – o pop culture, se preferisci – e alle sue connessioni con le sottoculture. Si tratta di un tema a cui Crombie Media presta molta attenzione, perciò ci piacerebbe sapere di più sulla tua visione sull’argomento.
Se ci pensi, le connessioni fra sottoculture e cultura di massa sono davvero stratificate. I teddy boy si sono ispirati ai grandi divi ribelli del cinema, così come i mod agli attori della Nouvelle vague francese e del cinema italiano, i rude boy ai gangster del cinema noir e così via…
Quel che è interessante è che lo hanno fatto a modo proprio, hanno preso certi elementi “mainstream” e li hanno decontestualizzati, li hanno portati nella strada e interpretati attraverso le loro possibilità e la loro attitudine.
Quello che poi è successo è che hanno creato delle identità visive precise connesse ad un gruppo di appartenenza, gli hanno dato un significato nuovo che, partito da una “nicchia”, ovvero da una sottocultura, è poi nuovamente confluito nel mainstream che lo ha rifagocitato e utilizzato a proprio piacere. Questo è quello che fa la moda, no?
Personalmente non mi è mai interessata la moda, m’interessano lo stile e l’attitudine, ossia i contenuti che stanno dietro a certe scelte, anche quelle visive.
Stili ribelli avrà un seguito? Hai altri progetti in cantiere?
Mi piace sperare che Stili ribelli andrà bene anche in TV e che si possano fare altre puntate, oltre le sei previste: ci sono così tante cose da dire rispetto alle controculture!
Di progetti nel cassetto ne ho tanti, per esempio mi piacerebbe fare una serie sulla musica al femminile, e poi sto scrivendo una serie d’animazione su un gatto ciccione amante degli ABBA!
Al momento, però, mi godo qualche mese di maternità!
Indice delle puntate
- Chiodo
- Occhiali da sole
- Minigonna
- Bretelle
- Stivali
- Impermeabile
Canali ufficiali di “Stili ribelli”
Seguono i link ai canali tramite i quali è possibile essere aggiornati sulle novità relative a Stili ribelli:
- Pagina ufficiale sul sito di Kiné
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Pubblicato il 25 giugno 2019 e aggiornato il 28 aprile 2020.