Flavio Frezza: gli skinhead italiani e il libro "Italia Skins"

Un’intervista con Flavio Frezza: gli skinhead italiani e il libro “Italia Skins”

Flavio Frezza parla delle origini e dei principali sviluppi della scena skinhead non razzista degli anni ’80 e ’90

Flavio Frezza

🇬🇧 Non-Italian speakers take note! This article about Italian skinheads is an authorized translation of the following interview, albeit shortened and slightly changed: Italia Skins! An interview with Flavio Frezza. In addition, two versions in Spanish are available on the Internet: check them out here and here.

Flavio Frezza e “Italia Skins”

Alla fine dell’agosto del 2017, il blog inglese Creases Like Knives ha pubblicato un’intervista con Flavio Frezza, autore del libro Italia Skins (Hellnation Libri 2017) e curatore delle edizioni italiane di Spirit of ’69Skinhead Nation di George Marshall. Se siete interessati a questi volumi, li trovate nel nostro negozio online.

La conversazione, edita con il titolo “Italia Skins! An interview with Flavio Frezza”, riguarda sia il volume Italia skins che le origini e i principali sviluppi della scena skinhead non razzista italiana.

Ci si sofferma, inoltre, su questioni controverse come la contrapposizione tra politicizzazione ed apoliticità, oltre che sulle peculiarità di alcune band particolarmente rilevanti (Nabat, Rip Off, Plastic Surgery, Klasse Kriminale, Banda Bassotti).

Data la lunghezza dell’intervista, si è pensato di tradurre e riproporre soltanto le parti relative al libro Italia Skins e quelle di maggiore interesse storico, anche alla luce del fatto che diverse domande erano pensate per un pubblico non italiano.

Ringraziamo l’intervistatore Crombieboy per averci autorizzato a riproporre il materiale, e vi auguriamo buona lettura!

L’intervista

Ciao, Flavio! Presentati e parlaci del tuo coinvolgimento nel mondo skinhead.

Sono nato nel 1974 a Viterbo. Mi sono avvicinato alla sottocultura nei primi anni ’90, dopo aver ascoltato dei gruppi Oi! italiani e britannici. All’epoca ascoltavo già del punk e del reggae.

Nel 1995, alcuni amici ed io abbiamo fondato i Razzapparte, una delle pochissime Oi! band italiane attive da oltre vent’anni senza interruzioni.

Ho collaborato con varie skinzine e gestito bollettini cartacei e siti web. Alla fine degli anni ’90 ho creato una piccola etichetta chiamata Resta Rude Recs., e poi negli anni 2000 ne ho fondato un’altra, City of the Dead.

Recentemente ho avviato una nuova etichetta, Skinhead Sounds.

In questo momento mi sto occupando della promozione di un gruppo street punk della mia città, The Unborn. I loro testi sono dedicati all’horror politico, e ho già pubblicato un paio di loro lavori su Skinhead Sounds.

Flavio Frezza, autore della monografia sugli skinhead italiani, "Italia Skins"
Flavio Frezza nel 2017. Foto di Michela Midossi.

Il tuo libro si chiama Italia Skins. Ne esistevano già altri dedicati agli skinhead italiani?

Non esattamente. Riccardo Pedrini, bassista e poi chitarrista dei Nabat, ha scritto due libri di grande interesse, Skinhead nel 1996 e Ordigni nel 1998. Tuttavia, questi non sono focalizzati sugli skinhead italiani, anche se contengono molte informazioni sulla nostra scena, soprattutto per quanto riguarda la prima metà degli anni ’80.

Quando ho iniziato a lavorare a Italia Skins, ho pensato di partire dal punto in cui si era fermato Pedrini, e infatti la mia ricerca riguarda soprattutto il periodo che va da metà anni ’80 ai primi 2000.

Italia Skins riguarda l’intera scena non razzista, sia politicizzata che apolitica. Tralasciando le considerazioni di tipo etico, ho scelto di ignorare gli ambienti di destra perché, dal 1983 in poi, questi sono diventati qualcosa di sempre più distinto dalla scena non razzista.

"Italia Skins", il libro di Flavio Frezza sugli skinhead italiani
Italia Skins di Flavio Frezza (Hellnation Libri 2017).

Puoi dirci qualcosa in più sui contenuti del libro Italia Skins?

Italia Skins è suddiviso in due parti. La prima è di carattere storico ed è composta da due capitoli: uno riguarda le radici e i più importanti sviluppi della sottocultura, mentre l’altro è dedicato alla scena italiana.

Nella seconda parte del libro, invece, presento e commento dei frammenti d’interviste che ho realizzato con circa trenta skin ed ex-skin di varie parti d’Italia.

Sono stati toccati argomenti di vario genere, come le esperienze personali degli intervistati, nonché il loro atteggiamento nei confronti di politica, patriottismo, alcol e droghe e così via.

Le persone prescelte provengono da percorsi differenti e appartengono a diverse generazioni, e naturalmente hanno punti di vista divergenti su vari argomenti. L’idea era quella di confrontare le loro opinioni al fine di rappresentare l’intero arco della scena non razzista.

Infine, Italia Skins contiene due appendici: la prima è una raccolta di documenti prodotti da organizzazioni skinhead (volantini, comunicati, ecc.), mentre l’altra consiste in una serie di fotografie delle persone intervistate.

Per quanto riguarda il titolo del volume, si tratta di un riferimento al ritornello di “Skinhead” dei Guerriglia Urbana di Treviso, uno dei primi gruppi Oi! italiani.

C’è qualche leggenda o luogo comune sugli skinhead italiani che Italia Skins demolisce?

Esiste una gran quantità di dicerie, leggende metropolitane, distorsioni e generalizzazioni da parte di chi vede tutto in bianco e in nero, pertanto è assai probabile che Italia Skins abbia demolito alcuni luoghi comuni cari a qualche raggruppamento o a qualche individuo.

Ci sono degli ambienti che cercano di distorcere la storia della sottocultura – sia nel suo complesso che nella sua incarnazione italiana – in base al proprio pensiero politico (o apolitico), ad esempio sostenendo che tutti gli original erano razzisti, oppure, in alternativa, che erano dal primo all’ultimo coscientemente antirazzisti, se non attivamente antifascisti!

La cultura skinhead è molto complessa e frammentata: dopotutto, gli skin rappresentano la propria realtà sociale e portano con sé le caratteristiche e le contraddizioni della classe e della zona di riferimento. Questo era vero per gli original ed è altrettanto vero per tutte le varianti internazionali del culto.

Tornando ad Italia Skins, la mia intenzione era quella di essere il più obiettivo possibile, per certi versi scientifico, visto che ho usato metodi di ricerca e di redazione dei materiali che ho appreso dai miei studi precedenti, che riguardano i dialetti e il folclore della mia provincia.

Dove sono comparsi i primi skinhead italiani?

Inizialmente a Bologna, Genova, Savona, Roma, Torino, Milano e in Toscana. Erano fondamentalmente dei punk rasati che vedevano nell’Oi! un modo di riportare il punk in strada.

Devi sapere che nei primi anni ’80 emerse anche in Italia un’ala del punk crassiana e anarcopacifista, e in questo ambito era piuttosto comune l’abitudine di etichettare come “finti punk” quelli che non si conformavano alle loro idee.

Come risposta ad atteggiamenti di questo tipo, i non pacifisti cominciarono a definirsi “punk nichilisti”, e con il passare del tempo la maggior parte di questi iniziarono a rasarsi la testa: erano nati gli skinhead italiani!

Sembra che il termine “nichilista” lo abbia usato, per primo, Steno dei Nabat, che all’epoca era punk. Si trattava di un riferimento al movimento nichilista della Russia zarista, che era anarchico ma non pacifista. Tuttavia, in sincerità, non credo che tutti i punk nichilisti fossero veramente al di dentro del pensiero nichilista russo! Ah! Ah!

Comunque sia, le due ali del punk italiano non furono mai completamente separate l’una dall’altra, e in diversi casi collaborarono, anche se i rapporti tra le parti furono spesso tesi.

I primi skinhead italiani erano più proletari dei punk?

Beh, perlomeno all’inizio, la distinzione non era tra punk e skin, ma tra skin e punk nichilisti da un lato e punk crassiani dall’altro.

Naturalmente, la scena Oi! e nichilista dava una maggiore rilevanza alla coscienza di classe rispetto alla sua controparte pacifista.

Fino a che punto gli skinhead italiani della prima ondata erano coscienti della storia della sottocultura? Mi riferisco alle radici mod, alla musica reggae e così via.

Soltanto a partire dal 1982, soprattutto grazie al lavoro di alcune fanzine, la grande maggioranza degli skinhead italiani scoprì le origini del culto, comprendendo che si trattava di qualcosa di più che una variante classista del punk, e che aveva delle forti connessioni con il modernismo e con la musica nera.

Cercarono, quindi, d’informarsi come potevano sulle peculiarità della sottocultura. Londra diventò una specie di Mecca, e molti si recavano lì ogni volta che potevano.

Numerosi ragazzi, forse proprio come conseguenza di questa frequentazione, a un certo punto iniziarono a indossare il tricolore, evidentemente come forma d’imitazione degli skin inglesi, che in quel periodo ostentavano la Union Jack.

Bisogna specificare che, almeno agli inizi, l’utilizzo del tricolore non aveva una valenza politica. Devi infatti sapere che nel nostro paese, per una serie di ragioni, l’uso della bandiera è sempre stato considerato controverso, soprattutto dopo il fascismo.

Comunque, ritornando a quegli anni, la scena Oi! inglese era ormai in fase discendente, mentre quella nazionalista e razzista guidata da Ian Stuart e dai suoi Skrewdriver era sempre più forte.

Questo cambiamento influenzò numerosi skinhead italiani, i quali, per dirla nelle parole di Pedrini, “partivano per Londra con le A cerchiate e tornavano con le svastiche”.

Spesso i Nabat vengono citati come il gruppo che ha dato il via alla scena in Emilia-Romagna, se non in tutto il paese. Leggendo le loro interviste degli anni ’90, sembrerebbero un gruppo di sinistra, almeno dal punto di vista culturale. È stato così sin dall’inizio?

Credo che tutti concordino sul fatto che i Nabat abbiano dato il via all’intera scena italiana.

Si formarono nel 1979 come gruppo punk e presero il nome da una confederazione anarchica ucraina. La maggior parte dei membri passati e presenti dei Nabat avevano e hanno tutt’ora idee radicali di sinistra, soprattutto di stampo anarchico. Almeno agli inizi, diversi loro fan e dell’Oi! in genere erano militanti dell’Autonomia Operaia.

Inoltre, i Nabat, così come altri gruppi Oi!, suonavano spesso negli spazi occupati e in occasione di eventi organizzati da raggruppamenti di sinistra, sia anarchici che comunisti.

Quando una parte della scena si orientò verso l’estrema destra, i Nabat, i Rough di Torino e altri assunsero una posizione politica più esplicita.

Eppure i Nabat, almeno in qualche occasione, si dichiararono contro la politica, giusto?

Nel ritornello di una canzone, “Zombie Rock”, i Nabat urlavano “no politica”. Lo stesso pezzo recitava: “rossi e neri siete tutti uguali, voi volete il nostro voto”.

Comunque, quando la presenza dell’estrema destra divenne consistente, i Nabat modificarono quella frase, sostituendo il riferimento ai comunisti con quello alla Democrazia Cristiana (“bianchi e neri…”).

In seguito spiegarono che “Zombie Rock” si riferiva alla politica dei partiti, e non a quella extraparlamentare.

In ogni caso, bisogna tener conto del fatto che i Nabat erano principalmente un gruppo libertario, e che la loro città era governata storicamente dal Partito Comunista Italiano, e pertanto erano costretti ad avere a che fare quotidianamente con la politica ipocrita di un’organizzazione sempre più distante dalla classe operaia.

Negli anni ’70 e nei primi ’80, in Italia c’erano gruppi terroristici sia di estrema destra che di estrema sinistra che mettevano le bombe, tanto per dirne una. Com’era possibile per gli skinhead italiani essere apolitici in un’atmosfera così fortemente politicizzata?

Credo che l’approccio apolitico abbia molto a che fare con le cose di cui parli.

Per quanto riguarda la sinistra, è vero che questa era radicata nella classe operaia da molti decenni, ma è anche vero che, negli anni ’80, da un lato il PCI appariva sempre più disinteressato ai lavoratori e ai giovani in genere, e dall’altro la politica intrapresa dalla sinistra extraparlamentare si stava dimostrando fallimentare. Una parte della classe operaia iniziò a percepire un po’ tutta la sinistra come qualcosa di distante dalla propria realtà.

Quando la presenza dell’estrema destra nella scena diventò significativa, il motto “no politica” fu per molti un tentativo di arginare quella degenerazione.
La sola politica che costituiva una minaccia per la scena era quella dei nazi, non quella dei comunisti o degli anarchici.

Infatti, negli anni ’80 inoltrati e nei primissimi ’90, gli ambienti di sinistra, in genere, non volevano avere niente a che fare con gli skinhead, che almeno in qualche città non erano neanche ammessi nei centri sociali.

Naturalmente, lo slogan “no politica” non ha avuto lo stesso significato per tutti, e in diversi casi è stato usato in senso qualunquista o opportunistico.

Bisogna però tenere conto del fatto che fino ai primi anni ’90 moltissimi skinhead italiani si dichiaravano apolitici, pertanto mi pare abbastanza normale che al concetto di apoliticità siano state date diverse interpretazioni.

Per quanto riguarda il mettere le bombe, devo specificare che questa era una pratica dei terroristi di destra, e non dei gruppi armati di sinistra.

Flavio Frezza parla del raduno Oi! di Certaldo
La locandina del disastroso raduno Oi! di Certaldo del 1983.

Nel 1982, i Nabat condivisero una cassetta demo con i concittadini Rip Off. Nel corso del terzo raduno Oi! di Certaldo, il 18 giugno del 1983, le band condivisero anche il palco, e fu proprio in quella occasione che si verificò una grossa frattura nella scena italiana. Puoi ricordarci cosa avvenne?

Prima di parlare del raduno, devo fare qualche cenno sui Rip Off. Questi, inizialmente, avevano versi del genere: “io non voglio polizia, questa è la mia anarchia”. Si trattava di testi molto essenziali, ma sicuramente non di destra. Più tardi, in seguito a un cambio di formazione, avvenne anche un cambiamento politico.

In occasione di Certaldo, esplosero rivalità calcistiche e cittadine, oppure tra crew della stessa città, ma anche tra punk e skin. La ragione principale della tensione fu, tuttavia, la presenza consistente di skinhead di estrema destra. Inoltre, l’uso massiccio di alcol e droghe non contribuì certo a migliorare la situazione…

Al momento dell’esibizione dei Rip Off due membri della loro crew si posizionarono ai lati del palco e tesero il braccio destro, e il cantante fece qualche sorta di proclama politico.

I Rough rifiutarono di suonare di fronte a una grossa sezione del pubblico che faceva saluti romani. Vi furono risse continue con molti feriti, e la struttura che ospitava l’evento fu seriamente danneggiata.

Che importanza ha avuto questo raduno per gli skinhead italiani?

Per molti skin, prima di Certaldo, schierarsi a destra era più che altro un modo di atteggiarsi, oppure una fase passeggera, se preferisci.

Quando iniziarono i problemi, alcuni di questi ragazzi capirono le conseguenze di quello che stavano facendo e non vollero più avere a che fare con quel tipo di politica, mentre altri divennero veri e propri militanti di estrema destra.

Certaldo segnò l’inizio della spaccatura della scena, con skinhead di sinistra e apolitici da un lato e nazi dall’altro. Gli skin di estrema destra attirarono persone a cui non importava nulla della sottocultura e che erano interessate solo all’aspetto politico, quindi i loro numeri crebbero.

A volte si parla di Certaldo come del “Southall italiano”, visto che dopo il raduno divenne molto difficile organizzare concerti di questo genere. La scena Oi! s’indebolì e fu quasi sul punto di morire – non soltanto a causa dei nazi ma anche per altre ragioni, come l’abuso di droghe – quindi gli stadi diventarono il punto di riferimento principale degli skinhead italiani.

C’erano skin sugli spalti anche in precedenza, ma il calcio diventò ancora più importante a causa della mancanza di altre attrattive. Purtroppo, in quel periodo le attività fasciste negli stadi avevano già una certa rilevanza, e anche questo giocò a favore dei bonehead.

In molti paesi dell’Europa occidentale, la seconda metà degli anni ’80 fu l’era dei bonehead. In Italia continuò ad esistere, in qualche modo, una scena skinhead normale?

Dopo Certaldo, non ci furono raduni Oi! né altri grandi eventi per molti anni. Tutte le vecchie band un po’ alla volta sparirono: i Nabat si sciolsero nel 1987 ma, a quel punto, gli altri gruppi erano scomparsi già da tempo.

Pochissime nuove band continuarono a sventolare la bandiera dell’Oi!, principalmente i Ghetto 84 di Bologna e, soprattutto, i Klasse Kriminale di Savona.

Nonostante ciò, anche dopo Certaldo i numeri della scena non razzista continuarono a crescere, soprattutto nel biennio 1987-1988. Alcuni skin adottarono un look più vicino allo stile original e iniziarono a frequentare la scena mod, finché i mod non li allontanarono nei primi anni ’90.

Alla fine degli anni ’80 e all’inizio del decennio successivo, la scena bonehead si rinforzò ulteriormente, visto che TV e giornali dipingevano gli skinhead come attivisti di estrema destra a causa di quanto stava accadendo in Germania dopo la riunificazione.

I mass media parlavano continuamente di attacchi alle minoranze etniche da parte di skinhead, persino quando gli aggressori non avevano neanche la testa rasata…

Il comportamento dei giornalisti creò numerosi emuli dei bonehead anche in Italia: di punto in bianco molti giovani fascisti si rasarono la testa, si procurarono un paio di scarponi e un bomber e iniziarono a definirsi “skinhead”.

Un gruppo skinhead italiano di destra – i Plastic Surgery – adottò un approccio intellettuale piuttosto inusuale nei confronti del RAC…

I Plastic Surgery erano di Verona. Il Veneto fu la prima regione italiana in cui si sviluppò una vera e propria scena skinhead di destra, mentre nel resto del paese, in quel momento, atteggiarsi a nazi era più che altro una moda.

I Plastic Surgery si formarono come gruppo hardcore punk, poi vi fu un cambio di formazione e alcuni membri diventarono skinhead, avvicinandosi all’estrema destra.

Negli ambienti fascisti italiani, negli anni precedenti, si era sviluppata una corrente intellettuale che aveva adottato i temi cari a Julius Evola: la lotta contro il mondo moderno, una certa attenzione alla dimensione spirituale, e così via.

I Plastic Surgery seguirono quel percorso specifico, che rappresentò l’influenza principale dei loro testi.

Uno dei più importanti gruppi skinhead italiani: i Klasse Kriminale
Klasse Kriminale: l’edizione 30° anniversario di Costruito in Italia 7″ EP, pubblicata da Skinhead Sounds.

Prima hai citato i Klasse Kriminale: oggi esistono due versioni del gruppo, quella di Antonella e quella di Marco Balestrino. Secondo Antonella, inizialmente la band era nazionalista ed è diventata “politicamente corretta” soltanto in seguito. C’è del vero in ciò che dice?

Credo che l’unico testo dei Klasse Kriminale apertamente patriottico, più che nazionalista, sia “Costruito in Italia”, title track del loro 7″ EP di debutto, pubblicato nel 1988.

Il gruppo, in diverse occasioni, ha anche fatto uso del tricolore, ma questo era piuttosto comune tra gli skin degli anni ’80 e dei primi ’90.

Non so cosa intenda esattamente Antonella per “politicamente corretto”, ma immagino che usi questo termine per indicare chi ha tendenze politiche di sinistra.

Ebbene sì, con il passare del tempo i Klasse Kriminale si sono gradualmente politicizzati ed hanno iniziato a suonare nei centri sociali e a partecipare ad eventi organizzati da raggruppamenti di sinistra, e poi, a partire dalla metà degli anni ’90, hanno coerentemente smesso di definirsi apolitici.

In ogni caso, il loro percorso riflette la strada intrapresa dalla maggior parte dell’ambiente skinhead italiano di quel periodo.

Dopo anni di antipatia reciproca e d’incomprensioni, e grazie anche alle attività della SHARP, per una grossa fetta della scena – incluso il gruppo di Balestrino – i centri sociali sono diventati un importante punto di riferimento.

Nonostante questo, i Klasse Kriminale non sono mai diventati una band militante oppure combat rock, e infatti possono essere ancora considerati una formazione Oi! punk tradizionale.

Per concludere il discorso, bisogna dire che la line up di Antonella è piuttosto recente e che è nata molti anni dopo la sua uscita dalla band, mentre Balestrino, al contrario, tiene in vita i Klasse Kriminale da ormai 33 anni, pertanto non ci dovrebbero essere dubbi su quale delle due “versioni” del gruppo sia quella da seguire.

Va aggiunto, infine, che è vero che Antonella è stata importante per i Klasse Kriminale, ma è altrettanto vero che questi sono andati alla grande anche senza di lei: il loro miglior album, I ragazzi sono innocenti (1993), è stato infatti realizzato quando lei se n’era già andata.

Cosa mi dici, invece, della Banda Bassotti? Si tratta di un vero gruppo skinhead o sono semplicemente una band ska punk?

Alcuni membri della Banda Bassotti sono diventati skinhead agli inizi degli anni ’80, e lo stesso vale per parte della loro crew. Con il trascorrere degli anni, si sono politicizzati in misura sempre maggiore, e sembra che abbiano iniziato a definirsi “redskin” intorno al 1985.

Il loro primo materiale – a partire dalla compilation Balla e difendi del 1992 fino al secondo album, Avanzo de cantiere del 1995 – contiene qualche riferimento alla sottocultura.

Nel tempo, il loro pubblico si è allargato e diversificato, attraendo militanti politici, studenti e così via. La loro musica ha subito delle modifiche, con l’aggiunta di una sezione fiati e con una maggiore apertura alle sonorità latino-americane, mentre in precedenza le loro influenze consistevano principalmente nell’Oi!, nello ska e nel combat rock.

Tuttavia, la Banda Bassotti non ha mai voltato le spalle a chi la sosteneva nei primi anni di attività, e infatti il suo seguito include tuttora un buon numero di skin. Altri vecchi sostenitori, me compreso, hanno invece perso il loro interesse nella formazione dopo Avanzo de cantiere.

SHARP Italia, l'organizzazione degli skinhead italiani antirazzisti

Torniamo alla storia della scena: da parte degli skinhead italiani, ci fu una reazione di fronte alla crescita dell’estrema destra?

Certamente. Come abbiamo già visto per la Banda Bassotti, diversi skinhead di sinistra si politicizzarono ulteriormente, e intorno alla metà degli anni ’80 alcuni di loro cominciarono a definirsi “redskin”.

Durante la seconda parte del decennio, altri segmenti della scena non razzista acquisirono una maggiore coscienza politica.

Comunque, la risposta più forte alla crescita dei nazi giunse solo diverso tempo più tardi, con la SHARP. Questa arrivò in Italia nei primi anni ’90 e, almeno nella fase iniziale, radunava skinhead sia politicizzati che apolitici.

Nel 1994 si formò un coordinamento nazionale chiamato “SHARP Italia”, che comprendeva le sezioni esistenti ed altre che si formarono per l’occasione. Ulteriori sezioni nacquero negli anni successivi, ma queste, per varie ragioni, non facevano capo al coordinamento nazionale.

Le attività dell’area SHARP furono molto intense e positive, ma con il passare del tempo alcune sezioni cercarono di spingere il resto dell’ambiente ad adottare le loro idee politiche, e a quel punto iniziarono i problemi. Vi furono liti e divisioni dettate da ragioni stupide, come dicerie ed incomprensioni, e vi fu spesso un’atmosfera da caccia alle streghe.

Tuttavia, nonostante questi aspetti negativi, la nascita dei redskin prima e della SHARP poi portò nuova linfa alla scena non razzista – che a quel punto era ormai diventata apertamente antirazzista – e bilanciò finalmente la situazione precedente.

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La foto di copertina è di Michela Midossi.

Questo articolo è stato pubblicato il 6 marzo 2018 e aggiornato il 7 novembre 2020.

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9 commenti su “Un’intervista con Flavio Frezza: gli skinhead italiani e il libro “Italia Skins””

  1. Pingback: Gli N.N. All Stars e il rant poem “Classe Operaia” – Crombie Media Blog
  2. Hello Flavio from America San Antonio Tx. Havent heard from you since 05 my friend good to see you are still out there!

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