Guendalina Buonavita

Una skingirl a Genova: intervista con Guendalina Buonavita

La scena skinhead di Genova tra la fine degli anni ’80 e i primi ’90, raccontata da chi l’ha vissuta

Skinhead e skingirl a Genova, foto di Fabrizio Barile
Gruppo di skinhead nel centro storico di Genova, 1992. La skingirl a sinistra è Guendalina Buonavita. Foto di Fabrizio Barile.
🇬🇧 Non-Italian speakers take note! This article was originally published in English language by Creases Like Knives: Genoa skingirl, an interview with Guendalina Buonavita.

Francesca Chiari ha intervistato Guendalina Buonavita di Genova, attiva nella scena skinhead a partire dalla fine degli anni ’80.

L’intervista è apparsa inizialmente in inglese sul blog Creases Like Knives, che ci ha gentilmente permesso di pubblicare la conversazione originale in lingua italiana.

Guendalina Buonavita, skingirl

Intervista con Guendalina Buonavita

Ciao, partiamo con le presentazioni!

Sono Guendalina e sono nata a Genova, città che porto nel cuore, anche se non ci vivo più da parecchi anni, così come porto nel cuore la curva, la mia curva!

Bene, allora possiamo partire da questo! È grazie alla curva che ti sei avvicinata alla sottocultura skinhead, immagino.

Sì, ho iniziato ad andare allo stadio sin da piccola, sono sempre stata una grande tifosa del Genoa. Di ragazze, in curva, allora ce n’erano veramente poche.

Andavo in Gradinata Nord, ed è lì che è nata la mia amicizia con tanti skinhead più grandi di me, che io guardavo con ammirazione: Fabio, Maurizio, Davide, Sugar Ladruni… E Tonino, che in precedenza suonava nei Gangland: con lui è nata una grande amicizia.

Com’era la situazione in curva? Era politicizzata?

Guarda, la curva non è mai stata di destra, ma a quei tempi c’era un gran mescolone. C’era chi si definiva compagno e chi invece aveva delle idee opposte, ma si andava tutti d’accordo, perché eravamo uniti da un’unica passione e la politica non veniva messa in mezzo.

Poi tra noi genovesi ci si conosceva tutti, ci portavamo rispetto. Ma prima era totalmente diverso, prima del subentro della SHARP [Skinheads Against Racial Prejudice – NdR], poi da lì sono cambiate un po’ di cose. Ma io, allora, già non vivevo più a Genova, e anche se seguivo più che potevo le partite, ero comunque lontana.

Quello che ti posso dire, al di là del discorso SHARP, è che noi facevamo una fatica immane perché ci davano sempre dei nazisti. Appena succedeva qualcosa, era sempre colpa nostra, anche se non c’entravamo nulla. Infatti, ho tenuto
i vari articoli che ci riguardavano: sai, la stampa su di noi poteva dire qualsiasi cosa!

Nei primi anni ’90, è stato davvero faticoso perché eravamo accusati di essere qualcosa che non eravamo. Prendevamo le colpe per azioni compiute da altri, come ad esempio da gente di Roma, oppure del Veneto, e in parte di Milano.

Poi è nata la SHARP, ma io non ho vissuto quel momento, anche se tanti genovesi decisero di farne parte. Quella che ho vissuto io è stata la SHARP di Firenze, con il Moga, con David, la gente del centro sociale CPA e via dicendo. Per loro, tanto di cappello!

Gruppo di skingirl
Da sinistra a destra: Rosanna e Nicoletta (Milano), Fabrizia (Pavia), Carla (Milano), Simona (Torino), Laura degli Asociale (Como), Guendalina, Consuelo (Piacenza).

Come vivevi il fatto di essere di essere una ragazza in contesti prevalentemente maschili come lo stadio e la scena skinhead?

Sinceramente, credo di aver sempre brillato di luce propria, e non di luce altrui, o almeno questo è quello che ho sempre cercato di fare.

Sono sempre stata trattata con il massimo rispetto, anche se, in contesti del genere, ammetto che bisogna spesso far vedere non tanto che vali qualcosa, quanto di essere pari, di essere sempre in grado di tenere il passo. E io credo di esserci riuscita.

Quando vivevi a Genova, avevate dei posti di ritrovo?

Certo, andavamo al Club, quello in via Armenia, dove c’è la Fossa dei Grifoni. Era l’89. Ci si andava il sabato sera, per prendere i biglietti e organizzare le coreografie, coreografie per le quali la Nord, a quei tempi, si distingueva. Più che altro andavamo io e Davide, che all’epoca era il mio compagno.

Poi c’è stata la Polena, intorno al ’90 / ’91: è lì che è nata l’organizzazione Odiati e Fieri [rete di skinhead liguri che si opponeva alle strumentalizzazioni della sottocultura e agli attacchi da parte dei mass media – NdR].

La Polena si trovava nei vicoli. Era il nostro ritrovo. Eravamo molto vicolari! La famosa foto di Fabrizio “Fritz” Barile è stata scattata lì. Ci siamo io, Paolino, Davide, Andrea B., Chicco, Lele, Andrea F., Mulo, Roberto e Giovannino [si tratta dell’immagine di copertina di questa intervista – NdR].

Poi di posti ne abbiamo girati tanti, ma ce li giocavamo tutti! Andavamo via senza pagare e poi magari ci tornavamo pure! Eravamo recidivi, ci facevamo cacciare da ogni posto. Eravamo terribili!

La Polena
Fuori dal pub La Polena.

Parliamo un po’ di musica. Sei cresciuta con i Gangland, un gruppo fondamentale per la scena Oi! Cosa mi dici di loro?

Sì, in curva nell’88 ho conosciuto Tonino, il batterista dei Gangland, di cui ti ho parlato prima. Oltre a lui c’erano Gufy, Claudio e Maurino. I Gangland nascono tra l’82 e l’83, e il loro nome viene da un pezzo dei Violators. Sono stati fondamentali.

Il loro 7″ postumo, Lost & Found (Perso & Ritrovato), è stato prodotto da Fabrizio Barile, fotografo “ufficiale” della scena skinhead italiana.

Tonino suonò per un breve periodo anche con i Klasse Kriminale, e poi nei Fronte del Porto, insieme a Tony, Fabio, Antonella dei Klasse Kriminale e Ricky.

A proposito dei Klasse Kriminale… Visto che hai avuto modo di frequentarli, cosa mi dici di loro?

Ti dico che sono una grande amica di Marco. Gli voglio un gran bene. Marco si è sempre sbattuto per la scena. Ha organizzato molti concerti, ovviamente fuori Genova, visto che qua i Klasse Kriminale non erano ben visti da alcuni per via di certi testi, o almeno questa è l’idea che mi sono fatta. Furono banditi anche dai centri sociali.

Ricordo che, inizialmente, per poter vedere qualche concerto ci si doveva spostare, soprattutto verso Bologna, anche perché tra noi genovesi e i bolognesi c’è sempre stato un forte legame.

Marco fu uno degli organizzatori del raduno Oi! al Capolinea 97, il 2 dicembre del 1989. Suonarono i Klasse Kriminale, i Ghetto 84 e gli Strike. Se ci ripenso, mi vengono i brividi. Partimmo con il treno e i vagoni erano pieni di skin… Le uniche donne eravamo io e Valentina.

Che belli quegli anni! Tra lo stadio, i concerti, il cercare di fare qualcosa per restare uniti… L’essere skin nel quotidiano… Non eravamo affatto ben visti!

Un altro concerto organizzato da Marco è stato quello a Sant’Ermete, una località di mare, vicino Savona. Era il 23 maggio del 1992. Suonarono loro e i Nodo e il suo Gruppo. Anche lì ci fu una mega rissa. In realtà non ricordo alcun concerto dove non ce ne sia stata una!

In ogni caso, ripeto che Marco è un mio grande amico, per la scena Oi! italiana è stato fondamentale, mi dispiace molto che certa gente non si sia comportata bene nei suoi confronti.

Nel ’94 ti sei trasferita a Londra. Com’è stato l’impatto con la scena skinhead inglese?

Sì, mi sono spostata a Londra e ho vissuto lì un anno. Quando eravamo lì, sai chi frequentavamo? Gli One Hundred Men! [gruppo skinhead reggae e ska attivo nella prima metà degli anni ’90 – NdR]  C’erano Mick e Stig che erano dei gran personaggi, sempre sconvolti! Con loro mi divertivo davvero.

Andavamo a Carnaby Street, da Merc, stavamo sempre lì il sabato… Poi al pub conoscemmo degli altri skinhead, molto, ma molto più grandi di noi! Diciamo che ci accolsero bene. Quando eravamo lì conoscemmo anche alcuni di Blood & Honour.

Mi ricordo di quando andammo al cinema a vedere Romper Stomper, c’erano quelli dell’Anti-Nazi League che ci lanciavano addosso di tutto, perché non volevano che il film venisse proiettato. Ma noi eravamo lì solo per guardarlo, nient’altro.

Romper Stomper
Il bonehead movie australiano Romper Stomper (1992) di Geoffrey Wright – uscito in Italia come Skinheads – subì diversi tentativi di boicottaggio e di censura, sebbene a un occhio minimamente critico fosse evidente il fatto che il titolo non voleva in alcun modo promuovere idee razziste o fasciste, ma intendeva semmai contrastarle. Nel fotogramma appaiono Daniel Pollock – scomparso prima dell’uscita della pellicola – e Russell Crowe, qua al suo debutto cinematografico.

Sicuramente quella da te descritta era una situazione particolare, ma allora le cose erano differenti ed è difficile fare un paragone. Comunque, stiamo pur sempre parlando di Blood & Honour, l’organizzazione fondata da Ian Stuart degli Skrewdriver

Specifico che con loro non avevamo nulla a che fare, noi eravamo dall’altra parte! Sai, siamo genovesi! Ma in Inghilterra era diverso, non contava la politica, contava essere skinhead.

La situazione di oggi – come hai detto tu stessa – non è paragonabile a quella di allora. Non penso che adesso possa esserci una tolleranza per certe cose, ora come ora non ce la farei. Potrei essere tollerante con chi conosco da una vita ed è rimasto sulle sue idee, ma sarebbe appunto perché ci conosciamo da sempre, altrimenti non ci riuscirei. Andrei contro i miei princìpi.

Ora sono tutti degli invasati, non so neanche spiegarti come allora la situazione fosse differente. Avresti dovuto vivere quegli anni per capire perché prima le cose andassero in una certa maniera.

Scusa se insisto sull’argomento, ma io non ho vissuto quegli anni. Ti faccio una domanda che rivolgo spesso a chi è più grande di me: cosa è cambiato oggi rispetto ad allora?

La situazione è degenerata. Chi prima si definiva di destra, in fin dei conti faceva le stesse identiche cose che facevamo noi. Non erano esaltati come adesso. Erano ottusi, certo, ma non come ora.

Torniamo a Londra e alla musica. Ti va di parlare dei concerti che hai visto e dei locali che hai visitato?

Il concerto più bello che abbia mai visto è stato il Bobby Moore Memorial allo Stick of Rock di Londra, nel ’93… Lo Stick of Rock era un locale bellissimo, gestito dai Cock Sparrer. Suonarono i Business, i Blood, gli Elite, gli Anti-Nowhere League e Frankie “Boy” Flame. Stupendo. Era l’atmosfera ad essere particolare.

In posto così piccolo, gestito dai Cock Sparrer, e poi in memoria di Moore… Era un concerto fatto lì per lì, organizzato alla buona in un ambiente familiare… Bellissimo!

Poi tra i concerti che ricordo – ne facevano davvero tanti! – ci sono quelli ska, che facevano a Carnaby Street, nel pomeriggio!

Poi mi ricordo che andavamo al pub Robbey, nella zona di Fisbury Park, dove facevano sempre concerti ska, ed è lì che organizzavano anche l’International Ska Festival. E lì ci andavamo spesso.

E poi nel ’94 sei tornata in Italia…

Sì, finita la parentesi londinese sono tornata in Italia, a Pisa, dove ho vissuto fino al 2000. Lì ho gestito il negozio Made In England, poi ceduto a Gianluca, detto “Roccia”. Dopodiché mi sono spostata in Lombardia, dove vivo tuttora.

Cosa pensi della scena attuale? Non mi riferisco esclusivamente al lato musicale.

Credo sia fondamentale che ci sia gente nuova, che si affacci al movimento cercando di dare una continuità. Benvenga chi cerca di farlo! La situazione si è in qualche modo evoluta, noi non avevamo niente, s’imparava dagli altri… Il vestire, la musica…

Adesso i ragazzi sono più preparati. La vivono diversamente, e non credo sia un male. O meglio, non sono certo io a poter dire una cosa del genere.

Poi, a dirla tutta, gli skinhead di adesso dovrebbero essere contenti, con tutte le skin che ci sono ora, una più bella dell’altra! Prima eravamo davvero poche!

Anche musicalmente, vedo che l’Oi! Italiano sta andando avanti, ci sono gruppi validi che meritano, così come ci sono gruppi storici che, fortunatamente, stanno proseguendo. Ad esempio Balestrino con i Klasse Kriminale, dei quali quest’anno è uscito un nuovo album, Vico dei ragazzi (2020), e anche i Ghetto 84 con il loro recentissimo disco, Ultras Rock’n’Roll (2019).

Per quanto riguarda i gruppi recenti, ci sono i Dalton di Roma, con il nuovo Papillon (2020), e i Bomber 80 di Firenze. Questi ultimi sono cresciuti molto in questi anni: il loro album Contro il tempo (2017) è una bomba.

Davide e Guendalina.
Davide e Guendalina.

Bene, Guendalina, abbiamo finito. Hai qualcosa da aggiungere, prima di salutarci?

Sì, vorrei dedicare questa intervista a Davide, il mio ex-compagno. Una dedica gliela faccio sempre, in ogni mio momento felice. Se si parla di concerti e di stadio, è stata una figura molto importante per tutta la scena genovese.

Per me e per gli altri, lui era e resterà sempre il “vero skinhead”.

In questo caso, allora, ti salutiamo, Davide. E grazie ad entrambi!

Segui Crombie Media!

Se sei interessato alle sottoculture giovanili, torna a visitare il nostro blog e seguici sui social: siamo su Facebook, Instagram e Twitter!

Pubblicato da

Avatar photo

Francesca Chiari

Tecnico audio, sono stata titolare del negozio di vinili di famiglia Hi-Fi Music fino al 2012. Scrivo per il blog inglese Creases Like Knives.

3 commenti su “Una skingirl a Genova: intervista con Guendalina Buonavita”

  1. Ciao Guenda sono uno skin odiati e fieri anni 90 mi ricordo le belle serate alla polena e concerti e stavano anche nella panchina di brignole con Davide. Ormai qui a Genoa skin non c’è ne più non sanno manco chi sono infatti sto cercando di rifare il gruppo ma è difficile ciao e stammi bene OI!!♥️

Commenta questo articolo

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.