Il libro “Creature simili – Il dark a Milano negli anni ottanta”
Letizia Lucangeli recensisce il saggio di Simone Tosoni ed Emanuela Zuccalà
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Recensione di “Creature Simili”
Creature simili – Il dark a Milano negli anni ottanta è un saggio dal taglio spiccatamente sociologico e allo stesso tempo appassionante e discorsivo che racconta la nascita e lo sviluppo della sottocultura post-punk nel capoluogo lombardo, città particolarmente ricettiva alle avanguardie provenienti dal resto d’Europa.
Gli autori, Simone Tosoni – ricercatore dei processi culturali all’Università Cattolica di Milano – ed Emanuela Zuccalà – giornalista, scrittrice e documentarista – hanno raccolto una serie di testimonianze dei protagonisti di una stagione che si svolge attraverso gli anni ‘80, intrecciandosi con il punk, affermatosi in Italia quando la prima ondata britannica era peraltro già esaurita, e rivivificato nel nostro paese da una reinterpretazione molto appassionata e personale.
Creature simili è infatti la poetica definizione che i dark milanesi più politicizzati hanno scelto per se stessi, operando una differenziazione da un punk in cui non si riconoscevano più, o non si riconoscevano abbastanza: simili ai punk, ma non uguali.
Prendendo le mosse dalla terminologia, “dark” è una definizione adottata esclusivamente in Italia: negli altri paesi non esiste, e coloro che alla sottocultura sono appartenuti la utilizzano per comodità. La definizione universale è post-punk o, più propriamente, goth .
Come in tutte le storie che parlano di sottoculture o di scene musicali, i momenti più affascinanti sono gli inizi, e Creature simili non fa eccezione. Le pagine dedicate alla nascita della scena restituiscono una Milano plumbea, chiusa nelle sue periferie operaie in cui molto ancora contano le locali sezioni di partito, da una parte; vacua, sfavillante e impaziente di togliersi di dosso gli anni della lotta armata, dall’altra. Non è un caso che siano proprio gli anni ’80 il periodo che vede la nascita delle prime TV commerciali e l’imposizione di uno stile di vita colorato e vincente, fatto di soldi, aperitivi, cocaina, apparenza.
I ragazzi milanesi, spesso cresciuti in austere periferie, che non si riconoscono in questo nuovo modello culturale, diventano punk. La repressione dei movimenti politici in seguito al terrorismo era stata durissima, e la diffusione dell’eroina aveva fatto il resto. Le immagini struggenti dello sgombero del centro sociale Virus nel 1987, luogo di aggregazione politica, culturale e musicale, visibili nel documentario Punx – Creatività e rabbia (2006), forniscono l’idea esatta della fine di un’epoca.
L’operazione che investe la città di Milano negli anni ’80 è la messa in pratica di un vero e proprio progetto di normalizzazione, che reprime – letteralmente, spesso con metodi polizieschi – tutto ciò che è alternativo, e quindi potenzialmente sovversivo, e getta le basi per fenomeni cui assistiamo in modo compiuto ai giorni nostri.
La massificazione dei gusti, la spinta al conformismo individualista, la gentrificazione edilizia sono nati in quegli anni. Le forme di comunicazione, confronto e aggregazione sviluppatesi negli anni ’70 vengono erose a favore di un ritorno alla dimensione privata e disimpegnata: il “riflusso”.
In un contesto del genere, il post-punk inizia il suo percorso difforme; un percorso simile a quello già intrapreso dal punk.
La lotta iniziale sostenuta dai punk milanesi che gravitano attorno al Virus e che possiedono un pensiero politico di matrice anarchica, è diretta proprio contro i compagni delle sezioni e dei circoli giovanili comunisti, da cui alcuni di loro provengono e che hanno abbandonato per noia e stanchezza. D’altro canto, sezioni e circoli non vedono affatto di buon occhio questa gente disorganizzata, rasata e vestita di nero, che nella loro rigidità equiparano a fascisti.
Al Virus, fare politica è tutt’uno con il fare musica, arte, ma soprattutto comprendere, prima e meglio di altri, che il futuro è illuminato da una luce cupa, preannunciato dalle morti per droga e Aids, incidenti e suicidi. La militanza politica degli occupanti dei centri sociali perennemente sotto assedio e a rischio continuo di sgombero è fatta di mobilitazioni costanti, e qui si prefigura la prima e più importante differenza tra il punk dei centri sociali e la scena post-punk: quest’ultima vive la ribellione a livello interiore e individuale.
Le band più amate dalle creature simili – Siouxie and the Banshees, Bauhaus, Joy Division e Killing Joke, per fare qualche nome – non hanno testi politicizzati. Tuttavia, la loro visione del mondo è incentrata su un senso di rivolta contraddistinto da introversione e ricerca estetica.
Entrambe le sottoculture – punk e post-punk – provengono dal Regno Unito, entrambe si pongono in maniera antagonista rispetto all’ambiente circostante: ciò che il punk politicizzato non riesce ad accettare, però, è proprio il diverso modo in cui in ambito post-punk si vive l’antagonismo.
Il post-punk è una constatazione del declino. Per usare le parole di Joykix, uno degli intervistati del libro, attivista e artista visivo protagonista delle lotte del Virus:
Sia il punk che il dark avevano interiorizzato la repressione, solo che mentre il punk urlava fuori, il dark urlava dentro. Il dark era più autodistruttivo che aggressivo verso l’esterno.
Non so cosa sia meglio o peggio: comunque rappresentava una critica molto forte ai modelli dominanti.
Il non allineamento dark si manifesta attraverso l’abbigliamento, sia nella sua versione più minimalista delle origini, sia nella più teatrale variante goth. Le botte che i dark prendono in certe zone di Milano frequentate da paninari o skinhead di destra sono vere quanto quelle prese dai punk.
In un’epoca in cui la possibilità di informazioni reperibili in rete era ancora fantascienza, i misteriosi canali comunicativi fatti di passaparola, cassette duplicate e libri che passavano di mano in mano, l’immaginario dark si alimenta delle raccolte poetiche di Baudelaire, dei romanzi di Camus (uno su tutti, Lo straniero, che ha ispirato il brano dei Cure Killing An Arab), del cinema espressionista tedesco e dell’iconografia di Weimar in genere, che hanno costituito un’immensa fonte di ispirazione estetica. La stessa furia implosa della musica dei Joy Division segna un superamento ormai definitivo del punk.
La grande attenzione per l’estetica e il gusto decadente si esprimono attraverso fanzine dalle grafiche oscure e bellissime, come Hydra Mentale e Amen, che meriterebbero davvero un articolo a parte per come hanno modellato il gusto e l’immaginario alternativi.
Un ulteriore elemento distintivo del dark risiede nella rappresentazione non convenzionale della mascolinità. In aperto contrasto con la rudezza dei punk o degli skin, gli uomini dark si truccano, soprattutto gli occhi, e spesso vengono tacciati di omosessualità in un contesto generale ancora molto patriarcale e reazionario sulle questioni sessuali e di genere.
Nell’ambiente dark vige grande rispetto nei confronti delle donne, e anche uomini eterosessuali non hanno timore di mostrare il loro lato più femminile.
Creature simili è un testo corposo e ricchissimo di testimonianze di intervistati che raccontano in modo coinvolgente la propria adolescenza e la scoperta di questo mondo oscuro e meraviglioso: molti di loro sono diventati musicisti noti e innovativi (Andy dei Bluvertigo, Garbo) e altri sono tuttora artisti concettuali o visivi.
Invitando alla lettura di questo saggio scorrevole e intenso, concludiamo con le parole di Donatella Bartolomei, artista, a parere di chi scrive le più emozionanti, che davvero spiegano tutto:
Sono cambiata tante volte nel corso degli anni, eppure la Donatella di oggi la sento molto più vicina al mio periodo dark di fine anni ottanta che alla Donatella che aveva venti o trent’anni.
Anche se adesso ho una visione più diversa, più positiva, interiormente ho mantenuto una certa indole che avevo in quegli anni: sono lì, le basi di me stessa.
Creature simili – Il dark a Milano negli anni ottanta
Simone Tosoni, Emanuela Zuccalà
Agenzia X, 2013
319 pagine, 16 €
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