Farming (2018), il film skinhead di Adewale Akinnuoye-Agbaje

Farming: un evitabile film skinhead britannico

Letizia Lucangeli di Immagini dal Sud del Mondo recensisce Farming (2018), l’atteso quanto deludente film skinhead di Adewale Akinnuoye-Agbaje.

Damson Idris nel film skinhead "Farming"

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Recensione di Farming

Farming, scritto e diretto da Adewale Akinnuoye-Agbaje, è un film britannico del 2018, che narra dell’infanzia e dell’adolescenza del regista.

Il film ha richiesto ben 15 anni tra ricerche e lavorazione, e l’autore vi compare nella parte del proprio padre.

Farming – che al momento è disponibile solo in lingua inglese – è stato presentato quest’anno in Italia al BIFF, il British and Irish Film Festival di Torino.

Il titolo fa riferimento a una pratica un tempo piuttosto diffusa nel Regno Unito, che consisteva nell’affidamento temporaneo – talvolta della durata di diversi anni – di bambini provenienti da famiglie di origine nigeriana a coppie della working class bianca. In questo modo i genitori – che elargivano un contributo in denaro alle coppie ospitanti – potevano concentrarsi sul lavoro o sugli studi.

Ciò comportava spesso che le famiglie affidatarie tendessero a ospitare quanti più ragazzi possibile, in sprezzo al comfort e alle condizioni igieniche, e naturalmente con scarso supporto affettivo ed educativo.

Adewale (nel film Enitan) viene ceduto a poche settimane di vita dai genitori naturali ai suoi foster parents, una coppia piuttosto rozza di Tilbury, cittadina portuale della contea dell’Essex, non distante da Londra.

Fetish
Farming: ai limiti del fetish e oltre.

Enitan – abbreviato familiarmente in Eni – cresce con gli altri bambini della coppia affidataria, tutti di origine africana, facendo i conti da subito con la durezza della vita nei quartieri operai e il razzismo manifesto degli altri ragazzini.

L’infanzia e l’adolescenza di Eni ruotano intorno alla discriminazione e alla non accettazione di sé, meccanismi che lo condurranno, in un crescendo di masochismo, a unirsi a degli skinhead razzisti, i Tilbury Skins.

Quest’ultima è una gang realmente esistita, anche se il ritratto che ne fa il regista sembra, per la verità, piuttosto distorto. Approfondiremo questo aspetto nell’appendice che si trova in calce alla recensione.

Pet
Una delle scene più surreali del film: Enitan, dopo essere stato picchiato e umiliato per l’ennesima volta dai Tilbury Skins, si accuccia ai piedi del loro capo e diventa il suo pet.

Con un materiale del genere, sarebbe potuto nascere un film magnifico, degno concorrente dell’ormai classico, dolente e bellissimo This Is England. Ciò a cui abbiamo assistito, invece, è uno spettacolo ridicolo e patetico, un susseguirsi di scene imbarazzanti, venate di comicità involontaria.

Lungi da noi spoilerare l’incredibile climax raggiunto un paio di volte da questo film di assurda bruttezza; ne esamineremo piuttosto gli elementi strettamente cinematografici.

La regia di Farming è statica e scontata e fa il paio con una fotografia patinata che rende il film più simile a un videoclip di fine anni ’90 che non a una produzione indipendente contemporanea.

Farming
Una delle tante assurdità di Farming: gli skinhead si dipingono sulla fronte la T di Tilbury Skins, utilizzando il sangue di un maiale sgozzato ad uopo.

Alcune scene d’azione durano troppo, perdendo ogni volta il ritmo e quindi l’attenzione dello spettatore. In generale, il dinamismo e i tempi del film si sbracano ogni volta, dilapidando il patrimonio principale della narrazione cinematografica di strada, ovvero la coordinazione tra azione e drammaturgia. Ciò, naturalmente, è dovuto anche a una sceneggiatura costantemente incerta e smagliata.

In generale, il linguaggio utilizzato dal regista risulta talmente finto e artificioso da sminuire anche una componente peculiare dell’estetica cinematografica britannica: il paesaggio.

Nella cinematografia indipendente del Regno Unito, il paesaggio – sia esso urbano o naturale – costituisce una sorta di coprotagonista occulto ma essenziale. In Farming, invece, i prati, i campi da calcio e le abitazioni basse a schiera dei quartieri popolari sembrano scenari di cartone vuoti e pretestuosi.

Gli attori e le attrici principali possiedono una sola espressione ciascuno, e la conservano per l’intero film. Il protagonista è il peggiore, sia nella versione infantile (occhi perennemente sgranati e respiro affannoso, indipendentemente dagli avvenimenti di cui è vittima), sia in quella adolescenziale, interpretata da Damson Idris («fissità dello sguardo tipica dell’ottuso», avrebbe detto Vittorio De Sica nel celebre Il vigile).

Negli episodi che lo riguardano, Eni si rende sempre più ridicolo e la sua credibilità di adolescente rissoso perché vessato crolla miseramente già prima di metà pellicola.

Fred Perry
In una scena del film, Enitan chiede ai suoi nuovi “amici” perché indossano sempre delle polo da tennis. Uno di loro risponde: «Polo da tennis?! Fred Perry è un eroe nazionale, negro! Ha vinto tre volte il Torneo di Wimbeldon». Tuttavia, nessuno di loro indossa una Fred Perry, ma semplici polo con le righine sul colletto e sulle maniche! Il dialogo prosegue con la seguente, risibile affermazione: «Si tratta dell’abbigliamento del nostro paese. Ecco perché facciamo il triplo risvolto ai nostri jeans, è un tributo alla grandezza di questo paese».

La gang dei Tilbury Skins è una macchietta inguardabile: i componenti cercano di rifare il verso ai drughi di Arancia meccanica, senza naturalmente riuscirvi.

Inoltre, restituiscono un’immagine del tutto mistificata della sottocultura skinhead, tanto da far sospettare, fin dalla loro comparsa, che il regista abbia inventato tutta la storia di sana pianta, poiché non è assolutamente credibile che degli skin si comportino come illustrato nella pellicola, indipendentemente dal loro orientamento ideologico.

Chi non ha vissuto la strada o non proviene da questa sottocultura può facilmente documentarsi e verificare l’assurdità delle situazioni esposte in Farming.

Ulteriore cifra interpretativa in senso critico del film è la superficialità con cui viene trattata la situazione delle famiglie operaie bianche che partecipavano alla pratica del farming: gli affidatari di Eni sono dipinti in maniera frettolosa come dei disagiati vagamente crudeli.

Tilbury Skins
La sede dei Tilbury Skins: una baracca all’interno della discarica. Si noti il fango sugli indumenti: notoriamente gli skinhead amano la sporcizia, specie sulle proprie Dr. Martens!

Nella pellicola non esiste approfondimento né analisi dei motivi, ad esempio, per cui le famiglie della working class si prestavano a diventare foster parents.

La serie TV statunitense Orange Is The New Black ha invece spiegato magistralmente e in poche, sicure battute, il mondo di cinismo e dolore che si nasconde dietro le foster homes.

Il regista britannico Mike Leigh avrebbe potuto, solo con questo spunto, costruirci un film epocale, ma Adewale Akinnuoye-Agbaje non ci è riuscito non solo perché manca di ispirazione, mestiere e cultura cinematografica, ma anche perché ha scientemente costruito Farming come suo giocattolo personale.

Il regista e sceneggiatore ha reso il suo film uno strumento con cui autoincensarsi e illustrare i successi conseguiti nella sua vita di ex-ragazzino problematico, grazie all’immancabile insegnante dal look monacale e dall’infinita buona volontà, direttamente trasportata da un qualsiasi film americano per adolescenti anni ’90.

Gray Skins
I Gray Skins si preparano ad attaccare i Tilbury Skins. Le torce ci sono, mancano solo i forconi!

Ultima annotazione sulla colonna sonora, la vera chicca di questo indigeribile pasticcio: l’infinita megalomania del regista ha fatto sì che egli stesso interpretasse gran parte degli orribili pezzi rap e finto-metal/punk che compongono il commento musicale. Gli unici brani azzeccati sono due canzoni reggae, ad opera di Sugar Minott e dei Musical Youth.

In conclusione, Farming è un film talmente imbarazzante da farci augurare tutti che il regista cambi presto mestiere.

Appendice – Farming e i Tilbury Skins

Di Flavio Frezza

Come accennato all’inizio della recensione, e come avevamo sospettato sin da quando il film era stato annunciato, i Tilbury Skins di Farming intendono rappresentare una gang realmente esistita – nota anche come Tilbury Trojan Skins – composta da skin xenofobi ma non politicizzati, quantomeno non nel senso pieno del termine.

Il fatto che si tratti dei Tilbury Trojan Skins è stato confermato da un breve scambio di battute con il regista [il post in questione è stato rimosso dall’autore – NdR].

Farming
Il capo dei Tilbury Skins con un gigantesco serpente intorno al collo. Quale skinhead non ne possiede uno?

Il nucleo principale della gang si formò nel ’77, quando nella cittadina dell’Essex prese piede il revival skinhead, ma alcuni componenti erano skin già alla fine del decennio precedente, e pertanto provenivano dall’era original.

Non si trattava, quindi, di bonehead white power: la stessa presenza del termine Trojan nel nome del gruppo indica che questo si rifaceva all’epoca skinhead original, la cui colonna sonora era costituita in gran parte dalla musica della Trojan Records.

Oltre al reggae, gli skin di Tilbury seguivano formazioni del revival ska come gli Specials, i Madness e i Bad Manners, nonché gruppi come i Damned e Siouxsie and the Banshees, oltre che – con l’arrivo degli anni ’80 – la musica Oi!

Intorno al 1980, alcuni membri dei Tilbury Skins formarono un proprio gruppo Oi! punk, gli Angela Rippon’s Bum.

Tilbury skins: skinhead girls
Spezziamo un’unica lancia a favore di Farming: rispetto ad altri film skinhead, il lato stilistico è relativamente curato.

Dei Tilbury Skins parla dettagliatamente George Marshall in Skinhead Nation (1996), il seguito meno noto di Spirit of ’69 (1991).

Secondo Marshall, i potenziali obiettivi della gang erano marinai stranieri, sostenitori di squadre rivali (la maggior parte dei Tilbury Skins tifava squadre londinesi), teddy boy, punk, mod, sniffatori di colla, omosessuali e studenti.

A proposito di questi ultimi, un appartentente alla gang dichiara: «Certi concerti erano solitamente pieni di studenti, che come sappiamo sono quasi sempre rossi, socialisti o sinistroidi, o comunque li vogliate chiamare. Quasi ogni settimana andavamo a pestare quegli stronzi, perché ci davano veramente sui nervi».

Tuttavia, a dispetto dell’antipatia per la sinistra, e nonostante il razzismo nei confronti dei pakis (ovvero gli immigrati del subcontinente indiano), i Tilbury Skins non aderirono mai a partiti di estrema destra come il National Front o il British Movement.

Al contrario, gli stessi nazi, nel caso in cui s’imbattessero nella gang, rischiavano di ricevere il medesimo trattamento riservato ai “rossi”.

Ci sembra interessante riportare la dichiarazione rilasciata a Marshall da Doghead, un membro di spicco del gruppo: «Ci piacerebbe essere ricordati come la gang di skinhead più violenta che sia mai esistita. Pestavamo tutti: pakis, neri, nazi, chiunque ci finisse tra i piedi».

Pur rifiutando l’affiliazione a organizzazioni di estrema destra, il gruppo – o almeno una parte di esso – aderì all’Anti-Paki League, una rete di gang che pestavano i pachistani che vivevano nell’East End di Londra.

A tal proposito, un altro membro dei Tilbury Skins dichiara: «Mi piacciono gli anni ’50 e il rock and roll, ma non sono diventato un teddy boy perché è risaputo che agli skinhead non piacciono i pakis, perciò ho pensato che quella fosse la scelta giusta da fare».

L’intervistato prosegue: «Non siamo affatto nazi. Mio padre ha combattuto i nazi in guerra. L’Anti-Paki League è un’altra storia: il fatto che io odi i pakis non mi rende un nazista».

E poi: «Anche se odiavamo i pakis e i sikh, non ci piacevano neanche i nazi, dato che i nostri genitori li avevano combattuti durante la guerra. Non capivamo perché gli skin si dovessero associare a loro, visto che per noi skinhead significa essere britannici ed esserne fieri, mentre tutti gli altri coglioni rappresentano il nemico, tedeschi inclusi».

Tilbury Skins: Keep Britain White
L’impiego del motto Keep Britain White attribuisce ai Tilbury Skins un livello di politicizzazione assai maggiore rispetto a quello che ha caratterizzato la vera gang, e ne sposta le posizioni dal piano della xenofobia a quello ben più estremo del suprematismo bianco.

Le testimonianze raccolte da George Marshall ritraggono quindi i Tilbury Trojan Skins come una gang xenofoba e nazionalista, ma non schierata politicamente.

Lo stesso Marshall commenta:

La crew di Tilbury è molto più rappresentativa degli skinhead di fine ’70 e inizio ’80 di quanto molti vogliano ammettere, e questo è particolarmente vero per Londra e per le zone circostanti.

Gli skinhead di Tilbury si sarebbero trovati a loro agio anche alla fine degli anni ’60, quando il paki-bashing [cioè il pestaggio di pakis – NdR] finì per la prima volta sulle pagine dei giornali, ma è importante chiarire che loro non hanno niente a che spartire con l’estremismo che si è diffuso nei primi anni ’80 ed è culminato nello stesso decennio con la nascita di organizzazioni neonaziste come Blood and Honour.

Enitan
Enitan si rasa la testa. Si noti, tra le scritte murali della sua stanza, l’assenza di riferimenti credibili alla sottocultura skinhead.

Sebbene Adewale Akinnuoye-Agbaje metta in chiaro che i Tilbury Skins non erano nazisti – al loro capo fa pronunciare la seguente frase: «We hate Nazis. We’re British» – li dipinge comunque come dei suprematisti bianchi, il che cozza con quanto sappiamo della gang.

Slogan come “Keep Britain White” appartengono infatti all’ala dei bonehead white power, e comunque presumono un livello di politicizzazione che, a quanto pare, era sconosciuto agli skinhead della cittadina portuale.

Diversi skin ed ex-skin di Tilbury – incluso Dave “Sticko” Strickson degli Angela Rippon’s Bum – sostengono che la storia raccontata da Adewale Akinnuoye-Agbaje sia completamente inventata, e non semplicemente esagerata a fini drammatici: il regista, secondo loro, non sarebbe mai stato uno skinhead e non avrebbe mai frequentato i Tilbury Skins.

Non abbiamo certo modo di verificare come siano andate effettivamente le cose, tuttavia possiamo affermare che la rappresentazione distorta della gang e della stessa sottocultura sembrano il risultato di ricerche sbrigative e approssimative, e non certo il frutto della presunta frequentazione, da parte del regista, di una gang di teste rasate.

Farming: Tilbury Skins
Tilbury Skins: Til Death Do Us Part.

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre del 2019 e aggiornato il 17 luglio 2023.

Pubblicato da

Letizia Lucangeli

Sono direttore artistico della rassegna cinematografica Immagini dal Sud del Mondo, ho scritto di cinema per il blog Indieforbunnies e di cultura punk e industrial per il blog BraiNoise.

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