Una skingirl a Roma: intervista con Lorena Plescia
La scena skinhead romana di inizio anni ’80 raccontata da una delle prime skingirl italiane, nonché voce degli storici Fun.
🇬🇧 Non-Italian speakers take note! This article was originally published in English language by Creases Like Knives: Roman skingirl, an interview with Lorena Plescia of Fun.
Francesca Chiari ha intervistato Lorena Plescia, parte attiva della scena punk e skinhead romana di inizio anni ’80 e – insieme a Sergio – voce dei Fun, uno dei migliori e più creativi gruppi Oi! italiani di quel decennio.
L’intervista è apparsa inizialmente in inglese sul blog Creases Like Knives, che ci ha gentilmente permesso di pubblicare la conversazione originale in lingua italiana.
Intervista con Lorena Plescia
Ciao Lorena, innanzitutto grazie per la disponibilità. Iniziamo con la domanda più importante: come ti sei avvicinata alla cultura skinhead?
Ho conosciuto questa bellissima cultura grazie a mio zio, di sette anni più grande di me.
Una sera mi portò al Uonna Club, e rimasi folgorata. Lì ho conosciuto dei ragazzi skinhead che abitavano in zona Monteverde, dove andavo a scuola. Le volte successive tornai al Uonna con loro.
Com’era la situazione a quei tempi? C’erano molti skinhead?
Non tantissimi. Diciamo che in quegli anni resisteva un certo stereotipo legato alla politica, quindi la maggior parte dei giovani erano di destra – i cosiddetti pariolini – oppure di sinistra, autonomi.
Gli skinhead e i punk non erano ben visti, quindi si tendeva a stare tutti insieme, punk, skin e mod.
Quali erano i vostri luoghi di ritrovo?
In quegli anni, tra il 1980 e l’82, i luoghi di ritrovo erano la Birreria Peroni e il Bibo Bar in piazza SS. Apostoli, e poi Santa Maria in Trastevere. A piazza Capranica più che altro si ritrovavano i mod. Comunque erano tutte zone del centro di Roma.
Nel fine settimana, chi viveva in quartieri periferici si spostava principalmente in questi posti, per scroccare un paio di birre prima di andare al Uonna Club. Durante la settimana, invece, si restava nei propri quartieri.
Solo più tardi, nel quartiere San Lorenzo, aprirà il Sally Brown, un rude pub tutt’oggi attivo, fondato da Luca della Banda Bassotti. Oggi il pub è gestito da Mariano e Peppe, e musicalmente curato dall’altrettanto mitico Nembokid
Selecta, che si avvale della collaborazione di vari DJ di origine giamaicana, ma provenienti della scena inglese.
Io vivevo in zona Trionfale, un quartiere semicentrale vicino al Vaticano, che durante gli anni di piombo è stato scenario di violenti scontri tra gli autonomi e i fasci che provenivano dalle aree limitrofe. Vi furono anche rappresaglie contro le sedi della Democrazia Cristiana, ed esecuzioni da parte delle Brigate Rosse.
Nello stesso quartiere vivevano pure il povero Angelino della Banda Bassotti, detto Sigaro (RIP), e la sua donna, Francesca Ceccaroni, che era una skingirl. Ovviamente, eravamo molto amici.
E poi c’era Centocelle…
Sì, Centocelle è stata un storia a parte. Diciamo che quel quartiere è entrato a far parte della mia vita in un momento successivo, ovvero al mio rientro a Roma, dopo aver vissuto per qualche tempo a Londra.
Centocelle è stato il fulcro di questa sottocultura. Qui sono transitati e confluiti diversi gruppi, oltre a quelli “autoctoni”. Tutte queste persone si riconoscevano sotto l’etichetta comune 100Celle City Rockers, che ha anche dato il nome a un pezzo dei Klaxon.
Nell’82 hai vissuto per tre mesi a Londra, dove era in corso la scissione tra gli skinhead del National Front e quelli che si dichiaravano apertamente di sinistra. Com’era la situazione in Italia?
Venivamo quasi tutti da un’area politica di sinistra, ma paradossalmente gli stessi ambienti – e in particolare quelli dell’area autonoma – non ci vedevano di buon occhio.
Non erano abituati ad anfibi, teste rasate, giubbotti neri oppure – nel caso dei punk – agli indumenti neri con le croci celtiche, e infatti ai concerti scoppiavano spesso delle risse.
Ma era un momento di transizione che avrebbe ceduto il passo a un nuovo modo di “fare politica”, non più militante – almeno per quanto riguarda alcuni – ma di denuncia, effettuata attraverso la musica.
Anche i gruppi che si ritenevano apolitici, anarchici o nichilisti, a mio parere esprimevano comunque un messaggio politico. Questo, a lungo andare, ha avvicinato anche chi prima ci guardava con ostilità.
Quindi è stato attraverso la musica che è avvenuta la presa di posizione, la scissione…
Non proprio, ma questa tendenza ha fatto uscire allo scoperto chi la pensava diversamente. Tuttavia, alcuni skin di destra continuarono a frequentare i concerti, e ti parlo anche di quelli di Desmond Dekker e Toots & the Maytals…
Importantissimo, in questo senso, il raduno di Certaldo dell’83: mentre suonavano i Rip Off, due skinhead, uno da un lato del palco e uno dall’altro, fecero il saluto romano. Scoppiò il finimondo.
Fu eclatante quando il chitarrista dei Nabat lasciò il gruppo per trasferirsi a Londra ed entrare negli Skrewdriver.
Torniamo alla musica, allora.
Beh, in quegli anni a Roma c’era la giunta del PCI, molto attiva in quanto a politiche sociali e culturali, e nota per la sua Estate Romana.
In quel periodo ci furono bellissimi concerti: i Madness, i Selecter, i Clash, Peter Tosh, i Talking Heads, i Devo, Toots & the Maytals, Dead Kennedys.
Fu anche il periodo in cui nacquero diversi centri sociali, tra i quali il Forte Prenestino, il Blitz e il Corto Circuito, che erano tra i più famosi. Insomma, tanti concerti, tanti centri sociali, tante attività.
Come sono nati i Fun?
Tornata da Londra, incontrai Sergio, con cui poi mi sposai. Un giorno mi portò in via Pisino, in un garage dove suonava insieme al Tubo, a Valter, a Emilio (RIP) e a Pesce.
Lasciato il garage, ci trasferimmo in via delle Robinie, a Centocelle, in un locale messo a disposizione da Fioz detto anche Languido, nostro amico e “manager”. Lì nacquero i Fun: Tubo alla batteria, Sergio alla voce e al basso, Carlo alla chitarra, io alla voce, Valter alla seconda chitarra e Italo al sax.
Rispetto agli altri gruppi, eravamo più numerosi, e inoltre facevamo generi diversi, che andavano dall’Oi! allo ska, fino al reggae.
Soltanto qualche anno più tardi la Banda Bassotti ha fatto qualcosa di simile, mescolando divinamente gli stessi generi.
Il pezzo più famoso e divertente dei Fun da me cantato era Uonna Club, un pezzo ska che prendeva in giro gli skin e i punk del week-end, un vero e proprio inno. Un altro pezzo ska che cantavo era Sole che brucia.
Anche i pezzi Oi! erano veramente potenti: Oi! per le strade, 100Celle, oppure Come voi, che è stato incluso nella compilation Quelli che urlano ancora (1985).
C’era anche un brano punk cantato da me, La tua libertà. Lo cantavo tutto d’un fiato… Un pezzo tiratissimo!
Stampammo anche una fanzine, anzi, una Funzine! In realtà demmo alla stampa poche copie, perché allora si utilizzava il ciclostile… Roba da preistoria, dati i mezzi attuali!
Cosa puoi raccontarci dei concerti e dei raduni?
In quegli anni, di raduni se ne facevano molti e quello di Certaldo fu senza dubbio il più famoso.
A Roma suonammo in una scuola – l’Armellini – insieme ai Nabat, agli Shotgun Solution, ai Bloody Riot, ai Klaxon e ad altri ancora, e ci esibimmo al cinema Alfieri. Inutile dire che ogni volta finiva in rissa… Povero Languido! Gli altri concerti li abbiamo fatti nei vari centri sociali, oppure al Uonna Club.
Ti va di parlarci dello scioglimento dei Fun, e di come in seguito la band riprese la propria attività?
Nell’85, io e Sergio per motivazioni personali abbiamo purtroppo dovuto lasciare il gruppo. La formazione ha avuto quindi altri abbandoni e qualche new entry, e alla fine è stato logico che dalla stessa nascessero altre band, e in particolare le formazioni ska Downtowners prima, e Mobsters poi.
Tra il 2012 e il 2013, Sergio (con il quale nel frattempo avevo divorziato), Emilio e Carlo – che erano tra i componenti della prima formazione – hanno deciso di rimettere in piedi i Fun, spinti anche da una grande e inaspettata popolarità – a 35 anni di distanza – dei nostri pezzi tra i kids di ogni generazione. In tutti questi anni, molte band hanno suonato i nostri pezzi dal vivo.
Inoltre, Emilio gestiva un blog, Ludwilio, che ha contribuito a tenere viva la curiosità sui Fun.
Mi era stato proposto di rientrare nel gruppo, ma visto che ora vivo a Trieste non mi è stato possibile farlo, e aggiungo anche con grande dispiacere.
Dopo altri sei o sette anni di attività, i Fun chiudono definitivamente il 28 dicembre ’19 con un concerto al 360° di San Lorenzo. Ovviamente ero presente. La stessa sera hanno suonato i Klaxon e i Cocks In The Hole, e i Fun hanno presentato un nuovo album, La tua libertà, che include sia dei vecchi pezzi che altri nuovi.
Per le ragioni che ho già spiegato, non ho potuto partecipare alle registrazioni, quindi i brani che cantavo io sono stati affidati a Silvia. Beh, quel che dovevo fare lo avevo già fatto! Inoltre, queste canzoni sono state ampiamente modificate: ad esempio, il testo di Sole che brucia è stato riscritto, perché il testo originale era stato perso, e del brano esisteva solo una registrazione di fortuna effettuata in un garage.
Cosa pensi della scena attuale?
In verità non sono molto preparata, per ovvi motivi non sono una che gira per concerti. Mi è comunque capitato di ascoltare dei gruppi nuovi, il loro suono è molto potente.
Sicuramente è cambiata la qualità di registrazione. Ora le sonorità sono molto più pulite, perché mixate in studi di registrazione con apparecchiature all’avanguardia, mentre noi registravamo in cantina, con i microfoni collegati direttamente agli altoparlanti!
A parte questo, mi cogli impreparata. Di certo noi skinhead non siamo più una novità come allora! L’unico rischio che si corre è quello di essere confusi politicamente, e io devo ogni volta puntualizzare il significato dell’essere skinhead, e raccontare da dove nasce il tutto…
Un’ultima domanda, poi ti lascio andare. Ai tempi era davvero inusuale che una ragazza cantasse in un gruppo Oi! Come reagì il pubblico skinhead?
Benissimo direi, anche perché si era già abituati con i gruppi punk, come i Vice Squad.
Però, ora che mi ci fai pensare, è vero… Anche in Italia, nei gruppi Oi! non c’erano voci femminili. Ma a noi sembrò tutto naturale. Era senz’altro una cosa bella. Una skingirl che ballava e cantava sul palco in un gruppo Oi!… Entrerò nella storia! [ride]
Beh, per noi ci sei già entrata. Perciò non possiamo fare altro che ringraziarti, Lorena!
Segui Crombie Media!
Se sei interessato alle sottoculture, seguici sui social (Facebook, Instagram), iscriviti alla nostra newsletter e non dimenticare di visitare il nostro negozio online!
La foto di copertina di questo articolo è di Andrea Carnevali.
2 commenti su “Una skingirl a Roma: intervista con Lorena Plescia”