Essere liberi: il Free Cinema britannico
Letizia Lucangeli di Immagini dal Sud del Mondo ci parla della stagione del Free Cinema, una corrente cinematografica che ha segnato un’epoca e ha dettato le coordinate per un radicale cambiamento del cinema d’autore britannico
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Prima del Free Cinema
«E allora appena mi dico che sono il primo uomo che sia mai caduto sulla terra, e appena spicco quel primo balzo fulmineo sull’erba gelata di un’alba in cui persino gli uccelli non hanno il coraggio di cantare, comincio a riflettere, ed è questo che mi piace» (Alan Sillitoe, La solitudine del maratoneta, 1959).
L’Europa del secondo dopoguerra è ancora cosparsa di ferite e di macerie, ma costituisce anche il terreno ideale su cui porre le fondamenta di un cinema d’autore nuovo, orientato alla riproduzione critica della realtà.
Non è un caso, infatti, che nei paesi in cui tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX il cinema è nato e si è sviluppato con stili, forme e contenuti diversi, nascano immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale nuovi linguaggi cinematografici, che segnano una cesura netta con il passato.
L’elemento che accomuna le nuove cinematografie europee, diverse tra loro negli stili, nelle sembianze dei protagonisti e nelle tecniche narrative, è una visione rinnovata della realtà circostante, che privilegia l’osservazione critica del reale rispetto all’affabulazione, ma anche un nuovo meccanismo di identificazione dell’autore, e non solo del pubblico, nella storia.
Quest’ultima caratteristica, costantemente presente nel cinema d’autore, diventa tuttavia preponderante in questo periodo di fermento, arricchendo le opere cinematografiche di una carica umana forse mai percepita prima.
In Italia, il neorealismo racconta la guerra, il drammatico periodo postbellico e la lotta partigiana con accenti spesso talmente lirici e antagonistici da essere osteggiato e in alcuni casi forzatamente ricondotto a toni più concilianti con l’establishment; successivamente, l’evoluzione del cinema d’autore verso questioni più intime ed esistenziali conduce a vette narrative e contenutistiche molto alte, senza mai rinunciare alla critica sociale.
In Francia, la Nouvelle vague e il cinéma-vérité rinnovano il linguaggio cinematografico, tanto da diventare un punto di riferimento estetico e di contenuti: la vita urbana, i rapporti di coppia, il passaggio dall’infanzia all’adolescenza sono raccontati con uno stile elegante e scarno, a volte amaramente divertente, sempre profondo, caratterizzato da regia e interpretazioni spontanee, quasi “di strada”.
In Gran Bretagna, infine, il Free Cinema oggetto della nostra trattazione forma una nuova generazione di autori, con peculiarità che, come spesso accade quando ci si riferisce alla produzione culturale del Regno Unito, sono del tutto proprie e ben definite.
Il Regno Unito e il Free Cinema
Prima di trattare il Free Cinema, però, è necessario riepilogare sinteticamente il percorso del cinema britannico d’autore e le premesse artistiche e culturali che hanno condotto allo sviluppo di questa nuova cinematografia.
Negli anni immediatamente successivi alla nascita del cinema, la produzione britannica era molto minore in termini di numero e diffusione delle opere rispetto a quella francese e italiana; tuttavia, essa presenta caratteristiche del tutto proprie che le hanno permesso di affrontare e superare anche momenti difficili, come il periodo della crisi economica o quello bellico.
La cinematografia britannica possiede due peculiarità, fin dall’origine: l’ispirazione letteraria della sua produzione filmica e la solida formazione di stampo teatrale dei suoi attori, grazie alla tradizione sviluppata in epoca elisabettiana da William Shakespeare, Ben Jonson e Christopher Marlowe.
In un quadro così aulico e inappuntabile si inserisce la Scuola di Brighton, che raccoglie sotto il suo nome un gruppo di cineasti i quali, tra il 1896 e il 1907 (agli albori del cinema), sperimentano nuove tecniche di montaggio ed effetti speciali. Successivamente, a partire dagli anni dieci del ‘900 nasce il cosiddetto “film d’arte”, in cui i registi cercano nuove modalità narrative, estetiche ed espressive basandosi sulla grande tradizione letteraria e drammaturgica inglese.
Nel Regno Unito, l’importanza riconosciuta al cinema dal mondo istituzionale e culturale ha permesso la nascita di grandi società di produzione e riviste di settore (una su tutte, Sight and Sound), evitando così di relegare lo spettacolo cinematografico al solo ruolo di divertissement per un pubblico poco pretenzioso.
La nascita nel 1933 del British Film Institute, molto attivo ancora oggi nel restauro dei classici, nella puntuale comunicazione delle proprie attività e nell’incoraggiamento della media literacy – la comprensione e la diffusione della cultura e del linguaggio cinematografici – segna il riconoscimento definitivo della Settima Arte nel Regno Unito.
Tra le peculiarità del cinema britannico che confluiranno nelle premesse culturali del Free Cinema spicca il cinema documentario a scopo sociale. Al netto degli intenti propagandistici di certa produzione documentaria, il più grande merito di questo genere è aver testimoniato le condizioni di vita della working class britannica.
Contemporanea e sostanzialmente sovrapponibile al Free Cinema è la British New Wave, traduzione letterale sia in senso linguistico sia contenutistico della Nouvelle vague francese, che contribuisce al cosiddetto kitchen sink realism. Difficile da rendere in italiano a causa della peculiare, tagliente arguzia della lingua inglese, questo tipo di realismo cinematografico si distingue appunto per la capacità di ritrarre ambienti tipici della classe lavoratrice.
Il lavoro dei documentaristi influenza anche il cinema di finzione, contribuendo alla nascita del social film, un filone che diventerà una delle cifre di riconoscimento del cinema del Regno Unito e che aprirà la strada a una corrente cinematografica nuova e fresca, oggetto della nostra trattazione.
La Gran Bretagna degli anni ’50 è un paese cupo e in difficoltà, in cui i ricordi dei bombardamenti della Luftwaffe sono talmente recenti che non hanno nemmeno iniziato a cicatrizzarsi. Interi quartieri delle città presi di mira dagli aerei nazisti sono ancora rasi al suolo, la povertà è molto diffusa e la politica si trincera dietro manie di grandezza ingiustificata, dato che di lì a poco anche l’impero coloniale si dissolverà rapidamente.
Il paese, però, possiede una solida tradizione culturale e, nonostante un’atmosfera rigidamente conservatrice – tanto per dirne una, negli anni ’50 in Gran Bretagna l’omosessualità era ancora un reato punibile con il carcere – si avverte chiaramente un’esigenza di libertà espressiva che in pochi anni trasformerà il Regno Unito.
La caratteristica che distingue il Free Cinema dal resto delle nuove cinematografie europee è l’origine letteraria e teatrale, in linea con la tradizione precedente.
Il nucleo centrale è costituito infatti dal collettivo di scrittori e drammaturghi noto come Angry Young Men, che a metà degli anni ’50 muove una feroce critica verso un mondo di obsoleti valori tradizionali che si sta inesorabilmente sfaldando, anche in seguito alla perdita di egemonia politica della Gran Bretagna, surclassata dalle due superpotenze emerse dalla seconda guerra mondiale, ovvero USA e URSS.
Tra gli Angry Young Men compaiono nomi destinati a diventare capisaldi della letteratura e della drammaturgia anglosassone contemporanee, come John Osborne, Arnold Wesker, Harold Pinter e Alan Sillitoe, autore di una intensa e struggente raccolta di racconti, The Loneliness of the Long-Distance Runner, uscita nel 1959 e tradotta in Italia con La solitudine del maratoneta.
La trasposizione cinematografica di quest’ultima opera rappresenta in un certo senso il manifesto del Free Cinema; è stata realizzata nel 1962 da uno dei suoi più importanti esponenti, Tony Richardson, e nell’edizione italiana si è pensato di adattare il bellissimo titolo originale con un inspiegabile Gioventù, amore e rabbia.
Poco prima dell’uscita della raccolta di Alan Sillitoe, il gruppo di nuovi registi britannici capeggiato da Lindsay Anderson e Karel Reisz pubblica, in occasione della presentazione di alcune loro opere al National Film Theatre di Londra nel febbraio 1956, il manifesto del Free Cinema, ripreso e analizzato da Gavin Lambert sulla rivista Sight and Sound, omologa dei Cahiers du Cinéma francesi.
I registi del Free Cinema abbandonano lo stile del documentario e del cortometraggio per approdare al lungometraggio narrativo, attraverso un linguaggio critico e onesto, dagli intenti per nulla estetizzanti ma, anzi, dotato di un’ estetica del tutto propria, genuina e vera.
Il nuovo cinema britannico d’autore possiede una forte valenza politica e di denuncia, ponendo le basi per la produzione filmica di registi come, ad esempio, Ken Loach, celebre per il denso significato sociale e militante del suo cinema.
I film di Loach rivelano, fin dagli esordi, una profonda sensibilità e una grande delicatezza nell’analisi dei rapporti umani, della durezza della vita della classe lavoratrice e della grande dignità dei suoi protagonisti.
Poor Cow (1967) unisce lo stile documentaristico a quello narrativo; Kes (1969) è stato presentato alla Settimana della Critica al Festival di Cannes e inserito dal British Film Institute nella lista dei migliori cento film britannici del XX secolo; Riff Raff (Riff-Raff, 1991) e Raining Stones (Piovono pietre, 1993), entrambi atti d’accusa contro lo sfruttamento, la disoccupazione e il conservatorismo della società inglese; Ladybird Ladybird (1994) è la storia di una donna dallo straziante passato di abusi subiti durante l’infanzia che ne hanno condizionato la vita emotiva.
La produzione più recente di Ken Loach ricalca questi temi, con parentesi più leggere ma sempre ambientate in contesto operaio, come The Angels’ Share (La parte degli angeli, 2012), vincitore di un premio César o nuovamente di denuncia come I, Daniel Blake (Io, Daniel Blake), Gran Premio Speciale della Giuria a Cannes 2016.
Conclusioni
Il Free Cinema ha contribuito a rivoluzionare anche lo sguardo che il pubblico e la critica internazionali hanno rivolto al cinema inglese, famoso fino ad allora soprattutto per le grandi produzioni tratte dai classici della letteratura e il thriller.
Uno dei meriti ascrivibili al Free Cinema è infatti quello di aver mostrato una Gran Bretagna diversa e autentica, influenzando la produzione d’autore fino ai giorni nostri.
Per la prima volta, dalla metà degli anni ’50, la Gran Bretagna ha rivelato la vita della classe operaia, i suoi quartieri di mattoni rossi ripresi e fotografati con grande e ruvida poesia, il suo volto bello e vero, le lacrime, la solidarietà, l’umorismo, in definitiva una nuova autentica bellezza.