The Real McCoy - Ska tribute

“The Real McCoy” rende omaggio alla musica ska

Skinhead, razzismo e musica giamaicana in una trasmissione televisiva britannica dei primi anni ’90

The Real McCoy - Ska tribute

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The Real McCoy

The Real McCoy era uno spettacolo trasmesso dal canale televisivo britannico BBC Two tra il 1991 e il 1996. Lo show, composto da sketch realizzati da comici neri e di origine asiatica, è andato in onda per cinque stagioni, ognuna delle quali composta da sei episodi.

Sebbene Charlie Hanson – il produttore delle prime due stagioni – fosse bianco, egli era impegnato in varie attività focalizzate sulla cultura nera, ed ha pertanto potuto rendere omaggio con competenza ad alcuni generi musicali black, con l’inclusione dello ska, del reggae e del soul, anche nelle loro incarnazioni più moderne (i Soul II Soul, tra gli altri, furono ospiti del programma).

The Real McCoy - Ska tribute

Dopo la cancellazione di The Real McCoy, è stato invocato più volte il suo ritorno, soprattutto dalla comunità nera, visto che lo spettacolo permetteva a quella sezione della popolazione britannica di «vedersi rappresentata in maniera non paternalistica» (dichiarazione dell’attrice Llewella Gideon, che faceva parte del cast).

È stato inoltre sottolineato come la chiusura dello show – che è stato in genere snobbato dalla critica ufficiale – abbia lasciato un vuoto, nonché diminuito le possibilità degli artisti neri di esibirsi di fronte a un pubblico più vasto rispetto a quello abituale.

It’s called ska…

Le puntate di The Real McCoy non sono mai state pubblicate sul mercato home video, né sono visionabili sulla pagina ufficiale della trasmissione, il cui indice degli episodi è piuttosto sommario e non ci permette di sapere quando, esattamente, fu trasmesso il tributo alla musica ska a cui facciamo riferimento.

Nello sketch in questione, alcuni attori – vestiti in maniera più o meno credibile da rude boy – rendono omaggio, tramite una canzone composta per l’occasione, alla musica giamaicana.

The Real McCoy - Ska tribute

La prima strofa, cantata da una donna, parla della scoperta, da parte di quest’ultima, della musica ska, avvenuta mentre ascoltava una trasmissione radiofonica in Giamaica.

La seconda strofa, eseguita da un attore che impersona suo marito, descrive invece il loro arrivo a Londra nel 1965.

La parte che ci è parsa più interessante è però la terza, che recita:

I saw some skinheads, ‘was on my own
They shouted: Blackie, go back home!
But when I passed the skinhead club
All I could hear was a rub-a-dub

Ovvero:

Ho visto degli skinhead mentre stavo per i fatti miei
Mi hanno urlato: Nero, torna a casa!
Ma quando sono passato davanti al club degli skinhead
Tutto ciò che si sentiva era del rub-a-dub.

Visto che l’episodio è ambientato negli anni ’60, il riferimento al rub-a-dub – che è uno stile reggae di fine anni ’70 e inizio ’80 – costituisce una forzatura, dovuta chiaramente ad esigenze di rima.

Trattandosi, per così dire, di una licenza poetica, preferiamo soffermarci sull’intento degli autori, che era evidentemente quello di sottolineare l’incongruenza di quegli skinhead che, in epoca original, ascoltavano la musica nera ma avevano idee razziste, oppure erano contrari all’immigrazione.

Quest’ultimo fenomeno – che si era intensificato dopo la seconda guerra mondiale, e che riguardava in particolare le ex-colonie – era invece incoraggiato dal governo britannico, che intendeva far fronte alla richiesta di manodopera a basso costo per la ricostruzione.

Skinhead e razzismo

Sebbene, secondo alcuni, il culto skinhead nasca antirazzista per via delle sue connessioni con la cultura nera, altri, più informati sulla storia delle teste rasate, ammettono che i primi skin non erano altro che figli della loro epoca e della loro classe sociale, e che – come il resto della working class – vivevano le contraddizioni dei propri tempi.

Inoltre, va ricordato, la società inglese di allora era molto più razzista di quella attuale, e non si vede come la sottocultura skinhead – che alla fine del 1969 era ormai un fenomeno di massa – potesse essere immune da certi pregiudizi.

Si badi bene che il razzismo di cui parliamo era soprattutto di stampo culturale, e non connesso ad idee di supremazia bianca, visto che quel tipo di ideologia avrebbe fatto breccia tra una parte dei giovani britannici soltanto alcuni anni più tardi, con l’ascesa di formazioni di estrema destra come il British Movement e il National Front.

A questi raggruppamenti avrebbe poi aderito un numero considerevole di skinhead della seconda ondata, che furono contrastati in maniera più o meno efficace sia dagli skin tradizionalisti che da quelli più politicizzati.

Alcuni skinhead apertamente di sinistra, di lì a breve, avrebbero infatti dato vita alla tendenza redskin.

The Real McCoy - Ska tribute

La questione dei pregiudizi razziali tra gli skin degli anni ’60 è stata affrontata nell’intervista con lo skinhead original Paul Thompson: l’intervistato si è soffermato, in particolare, sulla figura di Enoch Powell, un politico conservatore che andava allora conducendo una dura campagna contro l’immigrazione.

Nel corso della conversazione, Thompson ha parlato anche delle tensioni tra la popolazione autoctona e gli immigrati del subcontinente indiano – i cosiddetti “pakis” – e dei rapporti, migliori ma non idilliaci, con quelli di origine caraibica.

Lo sketch di The Real McCoy

Terminata la parentesi storica, vi lasciamo alla visione del tributo alla musica ska di The Real McCoy, che è disponibile su YouTube.

Altri spezzoni del programma sono disponibili sul medesimo sito web.

Pubblicato da

Flavio Frezza

Mi occupo di sottoculture (skinhead, mod, punk, ecc.) e dei generi musicali a queste connessi. Gestisco il blog Crombie Media, canto nei Razzapparte e sono il manager degli Unborn. Nel 2017 Hellnation Libri ha pubblicato il mio libro Italia Skins, e in seguito la stessa casa editrice ha dato alle stampe le edizioni italiane di Spirit of '69, Skinhead Nation e Skin, curate dal sottoscritto. Se vuoi saperne di più, leggi il seguente articolo: Un’intervista con Flavio Frezza: gli skinhead italiani e il libro “Italia Skins”.

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